Robot in cantiere, sperimentazioni e inquietudini

Alberto Sdegno, università di Udine
Alberto Sdegno, università di Udine

Tra le recenti richieste del sindacato americano degli attori e presentatori, che raccoglie più di 160.000 iscritti che dal 13 luglio scorso stanno scioperando cosa rarissima nel settore della cinematografia e radio televisione c’è anche la richiesta che l’uso dell’Intelligenza Artificiale non sostituisca gli attori in carne ed ossa con cloni digitali perfettamente identici ai personaggi di film e serie tv.

In particolare, una delle proposte è quella di eseguire delle scansioni 3D delle comparse, con un compenso legato al tempo necessario per la scansione, per poi poter utilizzare liberamente i modelli umani in forma elettronica ma perfettamente verosimili per qualsiasi progetto, escludendo la necessità del consenso del soggetto.

Il robot

Il tema della sostituzione dell’uomo reale con una macchina che potesse svolgere le sue funzioni è presente da quando l’uomo ha cominciato ad utilizzare strumenti tecnici che lo aiutassero nel lavoro.

Già Erone di Alessandria, nel I sec. a.C., aveva composto un trattato parlando di Automata, vale a dire macchine che potessero aiutare gli umani nei lavori pesanti, ma basterebbe sfogliare il Codice Atlantico di Leonardo da Vinci per rendersi conto del fatto che a distanza di 15 secoli da Erone l’idea di robot, non ancora intelligenti come quelli di cui si parla oggi, cominciasse ad essere nel pensiero di molti inventori.

La prima mano meccanica compare in un trattato della fine del Cinquecento, Les Oevres d’Ambroise Paré (1579), in cui è descritta una protesi di un arto umano in minimi dettagli, e meno di 200 anni dopo nel libro L’Homme Machine (1747) si associa il corpo di una persona al funzionamento di un orologio.

Non a caso proprio in quegli anni vengono messi a punto alcuni manichini dinamici con un controllo interno simile a quello che troviamo proprio in un orologio meccanico che possono disegnare, muovendo le mani in cui è fissata una normale penna che procede a tracciare segni su di un foglio, come le esperienze di Pierre e Henry–Louis Jaquet– Droz e di Henri Maillardet.

Sperimentazioni in edilizia

C’è da chiedersi, allora, cosa cambierà nel campo dell’architettura e dell’ingegneria o se vogliamo nel più generale mondo dell’edilizia quando robot perfettamente identici a noi, ma con capacità fisiche e durata temporale maggiore saranno pronti per lavorare al nostro fianco.

Il processo, come è noto, ha già investito molte fabbriche si pensi ad esempio a quelle di automobili tutte già molto robotizzate. I dati recenti dicono che a livello internazionale abbiamo già 3,5 milioni di robot industriali installati, con un potenziale di crescita, solo in Italia, del 65%, e c’è da aspettarsi che l’incremento sia anche maggiore nei prossimi anni.

Molte sono le sperimentazioni in corso e non è necessario pensare alle grandi opere di ingegneria. Robot sono in fase di sperimentazione che possono tinteggiare perfettamente una parete dopo aver fatto una scansione in tempo reale con la tecnologia Lidar; che possono costruire una parete in mattoni, seguendo un processo di montaggio stabilito in ambiente Bim e inviato alla macchina, con un tempo di realizzazione che può toccare anche i mille mattoni all’ora cosa impensabile da parte del più abile muratore.

Ma anche robot in grado di costruire superfici complesse, volte a crociera o cupole, miscelando in maniera autonoma la giusta dose di cemento e collocando con grande precisione i materiali da costruzione. Certo è che, per il momento il controllo umano è indispensabile, per evitare che un piccolo errore della macchina possa nascondere un problema strutturale che negli anni potrebbe mettere in crisi l’intera opera.

Né possiamo escludere che, un domani, altre macchine controllino questi operatori robotizzati, con un processo seriale simile, appunto a quanto già avviene in grosse aziende.

A queste macchine autonome si aggiungono gli strumenti robotizzati da indossare, gli esoscheletri, che apparentemente potrebbero essere associati a semplici tute da indossare, ma che in realtà, presentano grandi potenzialità soprattutto perché possono ridurre notevolmente il lavoro diretto dell’operaio.

All’uomo, pertanto, viene richiesto di associare una muscolatura artificiale, che gli consenta di sollevare pesi di gran lunga superiori a quelli a noi concessi, o di svolgere funzioni ricorsive in maniera precisa. Questi vestiti robotizzati possono essere attivi, vale a dire sono alimentati da una batteria che consente loro di muoversi in maniera indipendente, o passivi, cioè quale supporto, per ridurre la fatica dell’operatore, magari in posizioni scomode di lavoro.

È già possibile avere a disposizione esoscheletri per singole parti del corpo umano, da comporre a discrezione: per irrobustire la schiena, per rafforzare le gambe, per migliorare la presa delle mani, ecc.

Ma già cominciano ad apparire video in rete in cui un operaio chiede a un robot nella fattispecie quelli dalla struttura umana (gambe, piedi, torso, braccia, mani, testa), anche se dall’apparenza ancora robotica di aiutarlo nel lavoro pesante e pericoloso del cantiere, sollevando materiali, assemblando componenti, ma anche facendo agili operazioni di fine tinteggiatura di una parete al posto suo, come propone una delle più avanzate aziende del settore, l’americana Boston Dynamics.

Applicare l’intelligenza artificiale a queste macchine attualmente completamente programmate e poco autonome forse solleverà le stesse inquietudini del sindacato degli attori di Hollywood, di cui abbiamo parlato all’inizio.

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