Quanto contano le misure nella valutazione di sostenibilità

Il metro è un’unità di misura della lunghezza. Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord fece approvare dall’Assemblea Nazionale Costituente francese il sistema unificato di pesi e misure l’8 maggio 1790. La sua proposta fu esaminata da una commissione dell’Accademia reale delle scienze di Parigi e come unità di misura della lunghezza fu scelta la quarantamilionesima parte del meridiano terrestre, misurato tra Dunkerque e Barcellona, cui fu dato il nome di metro. Il metrocampione fu depositato nel 1799 alla Conservatoria delle Arti e dei Mestieri di Parigi in modo da avere un riferimento univoco cui riferirsi.

Fino a quel momento, infatti, vi erano decine di sistemi e metodi di misurazione locali poco o per nulla compatibili tra di loro. Oggi si definisce metro la distanza percorsa dalla luce nel vuoto in 1/299792458 di secondo, ma non è inusuale vedere lunghezze indicate in miglia (marine o terrestri, che sono di lunghezza diversa), piedipollici, piuttosto che avere la misura del peso definita in pietre, libbre ed once o il volume indicato con pinte e galloni.

A volte siamo così assuefatti a questi sistemi di misurazione che, pur non comprendendoli a fondo, accettiamo modi diversi dal Sistema Internazionale. E quindi la potenza dei condizionatori viene indicata in Btu (British Thermal Unit), dove 1KW equivale a 3.412 BTU/h. Verrebbe da domandarsi il perché, visto che esiste un sistema internazionale e sarebbe possibile descrivere potenze e consumi con le unità di misura correnti. Qualche mala lingua sostiene che usare un’unità di misura sconosciuta ha buon gioco a mascherare i futuri consumi al momento della vendita.

Se nel caso delle pompe di calore la conversione può apparire complessa, si tratta pur sempre di una semplice conversione numerica. Mentre è diverso il discorso riguardante la valutazione degli hotel. A chi non è capitato di trovarsi in un albergo di categoria superiore e chiedersi come fosse possibile avere una valutazione a 4 stelle per una realtà tutto sommato modesta?

La valutazione della qualità di un edificio avviene in modo molto simile alla modalità di classificazione degli hotel che ottiene 4 stelle quando raggiunge 187 punti e quella a 3 stelle quando supera i 128. Se prendiamo alcuni tra i più noti sistemi di valutazione della qualità dell’edilizia, per esempio il protocollo Leed (acronimo di Leadership in Energy and Environmental Design), vi sono livelli di rating che vanno dal Base (40-49 punti) al Platino (oltre 80 punti), passando per Argento (50 59 punti) e Oro (60-79 punti). È evidente che in un processo di rating la massima parte dei proprietari e dei progettisti cerchi di raggiungere il massimo livello di prestazione con un impegno relativamente modesto. E così avremo molte classificazioni Platino con 80-81 punti e pochissime valutazioni Oro con 79.

Provo a raccontare un’esperienza che mi capitò alcuni anni fa visitando il cantiere di un edificio ad uso pubblico che aveva ottenuto il livello più alto di certificazione Leed. Si trattava di un edificio disegnato da un progettista di fama, con forme interessanti e materiali di qualità, e in particolare la struttura in legno dell’involucro. Nella visita con alcuni colleghi notammo la grande scala interna in acciaio che, a nostro avviso, appariva sovradimensionata rispetto alle reali necessità funzionali e che sembrava stonasse un po’ con l’idea di sostenibilità proposta dall’edificio. Chiesi la ragione della scelta alla nostra guida che ci confessò come tale decisione fosse stata presa per raggiungere l’obiettivo di quantità di materiale riciclato richiesto dal sistema di rating utilizzato (calcolato in peso): ciò avrebbe garantito un elevato punteggio nella specifica sezione.

Il paradosso risiede proprio qui. L’idea di favorire l’uso di materiali di riciclo è assolutamente sensata, ma la scelta di avere scale, travi e pilastri sovradimensionati in acciaio riciclato perché l’obiettivo è di avere una maggior quantità di riciclato nell’edificio è insensato in tutti quei casi in cui sarebbero stati sufficienti sezioni (e pesi) inferiori che avrebbero, tra l’altro, determinato un risultato più sostenibile.

Premesso che considero il sistema di valutazione Leed un interessante tentativo di valutare e classificare la qualità ambientale di un prodotto edilizio, devo dire che i risultati appaiono abbastanza variegati e non sempre rispondenti agli obiettivi, esattamente come accade con la valutazione degli hotel. Una considerazione positiva è che i sistemi di rating, almeno i migliori, sono in continua evoluzione e cercano di aggiornare continuamente le procedure di valutazione facendo tesoro dei propri errori, ma, d’altra parte, molti progettisti usano il sistema di valutazione quale fondamento di scelte a volte poco sostenibili, ma utili a ottenere l’agognata certificazione.

Sorge allora spontanea la domanda: se la sostenibilità non si può valutare, allora è inutile discuterne tanto e darle tutta questa importanza? In verità, non concordo con questa affermazione. Molto si può e deve essere valutato. Certamente è possibile stimare la prestazione energetica complessiva (riscaldamento, raffrescamento e illuminazione) e, con un po’ più di fatica, l’emissione di Co2 nell’intero ciclo di vita dell’edificio per orientare le scelte dal punto di vista energetico e ambientale. Senza necessariamente ricercare un’unica valutazione sintetica è possibile considerare criticamente le indicazioni offerte dai diversi metodi di rating per costruire una strategia di progetto che garantisca all’edificio di avvicinarsi maggiormente agli obiettivi di sostenibilità (a questo proposito, per la valutazione di sostenibilità, consiglio la lettura del Rapporto Onu Our Common Future detto anche Rapporto Brundtland del 1987 e della successiva bibliografia sul tema).

In attesa che ChatGpt e gli altri sistemi di intelligenza artificiale rendano il lavoro del progettista del tutto inutile, destino che molto probabilmente sarà comune alla maggior parte delle professioni intellettuali, credo sia giusto che ogni professionista rimanga responsabile del proprio lavoro e delle proprie scelte. Sarebbe poi auspicabile che il mercato premiasse coloro che tra noi sanno incarnare meglio i principi della sostenibilità nel settore delle costruzioni, anche se, purtroppo, non sembra stia esattamente andando così e il più delle volte si assiste a scelte progettuali del tutto libere da condizionamenti ambientali con l’invenzione di correttivi tecnologici che in qualche modo riescono a darne una giustificazione a posteriori.

 

di Alessandro Rogora, Politecnico di Milano (da YouBuild n. 28)

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