Equo compenso, norma o miraggio?

Andrea Catto
Andrea Catto

Lo scorso 20 maggio è entrata in vigore la legge 21 aprile 2023 n.49 recante “Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali” nella quale si stabilisce che il compenso percepito da un professionista dev’essere proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione, nonché essere conforme ai parametri individuati dalla legge 24 marzo 2012, n. 27.

Una norma attesa, a tutela dei professionisti e del loro diritto a una retribuzione equa, che interviene anche a livello di categoria, prevedendo sanzioni per le pratiche di concorrenza sleale tra colleghi e coinvolgendo in maniera diretta gli Ordini e i Collegi professionali.

La sua introduzione, in un momento di rivoluzioni giuridiche, sta però creando dubbi interpretativi e perplessità sulla sua efficacia, soprattutto quando non vi è un allineamento del quadro normativo.

Disallineamenti Il calcolo dei compensi professionali è un tema delicato e dibattuto, oggetto di continui aggiornamenti da parte del legislatore.

Le tariffe professionali, stabilite per gli architetti e gli ingegneri dalla Legge 2 marzo 1949, n. 143 e dal successivo dm 4 aprile 2001 (per i lavori pubblici), sono state superate con il c.d. Decreto Bersani nel 2006, per poi essere definitivamente abolite nel 2012 con il Decreto Monti.

Il venir meno del regime tariffario ha generato un vuoto di riferimenti per la negoziazione dei corrispettivi, peggiorando una situazione già segnata dai ribassi sempre maggiori sui compensi a base di gara. Per questi motivi, con il dl 16 ottobre 2017, n. 148, è stato formalmente introdotto il principio dell’equo compenso, ma solo nel 2021 il Parlamento ha iniziato una revisione normativa del tema.

La nuova legge, che si applica alle prestazioni d’opera intellettuale svolte per amministrazioni pubbliche, imprese bancarie e assicurative, imprese con più di cinquanta dipendenti e ricavi superiori ai 10 milioni di euro, dispone che i compensi devono essere determinati sulla base di parametri contenuti nei Decreti ministeriali, che possono essere aggiornati ogni due anni su proposta dei Consigli nazionali degli Ordini o Collegi professionali.

Pur partendo da presupposti condivisibili e di tutela dei professionisti, sin da subito si è rilevato un mancato coordinamento con le modifiche introdotte dal nuovo Codice dei contratti pubblici (dlgs 31 marzo 2023, n.36).

Infatti, per le gare bandite dal 1° luglio di quest’anno, i livelli di progettazione sono solo due: progetto di fattibilità tecnico-economica e progetto esecutivo, ma la norma sull’equo compenso si basa ancora sul Decreto Parametri (dm 17 giugno 2016), che ne prevedeva tre.

Pertanto, si è operata una riorganizzazione delle singole prestazioni per adattare i compensi alla novità, ma la situazione potrà essere risolta solo con la modifica definitiva dei parametri contenuti nell’Allegato I.13 del nuovo Codice. Rimane poi la preoccupazione che il codice preveda, in casi eccezionali (non specificati), di affidare gli incarichi a titolo gratuito, ipotesi che mal si combina con l’equità del compenso.

Ordini professionali

Sul mancato coordinamento tra le due norme si è espresso il Cnappc, che ha rilevato un rischio concreto di blocco degli affidamenti dei servizi di architettura e ingegneria, dato che la violazione della legge n. 49 comporta la nullità dei contratti e l’impugnabilità degli esiti delle gare da parte di qualunque professionista.

E come ha sottolineato Oice, l’interpretazione dubbia ha già determinato un blocco delle gare. Un importante contributo è arrivato dal Centro Studi del Cni, con il documento “La disciplina dell’equo compenso e gli affidamenti dei servizi di ingegneria e architettura secondo il dlgs 36/2023”, in cui si afferma che il compenso non può essere soggetto a ribasso e il criterio dell’offerta più vantaggiosa dovrà essere applicato sulla base dei soli criteri qualitativi e a prezzo fisso, ribadendo l’obbligo per le amministrazioni di garantire l’applicazione dell’equo compenso, peraltro sancito dal nuovo Codice.

Il Cni ritiene ammissibile il ribasso di “spese e oneri accessori”, stabiliti in maniera forfettaria tra il 10% e il 25% a seconda degli importi delle opere. La legge attribuisce un ruolo importante al mondo ordinistico che, oltre a proporre ogni due anni l’aggiornamento dei parametri, concordare con le imprese modelli standard, proporre azioni di classe, dovrà adottare disposizioni deontologiche per sanzionare le violazioni da parte dei propri iscritti.

Enunciazione, sulla carta ineccepibile, pare però avulsa dall’operato di un Ordine territoriale, che si regge su consiglieri eletti e non retribuiti, che dovrebbero monitorare ogni incarico in assenza di dati o di un potere di azione, di fatto limitato ai casi di denuncia da parte di altri professionisti. Il rischio di avere l’ennesima enunciazione di buoni principi a fronte di una realtà che procede in senso opposto è alto.

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