Design as nature: costruzione e rigenerazione

Nella sua collaborazione con lo studio di Mario Cucinella, si occupa di divulgazione della sostenibilità, della rigenerazione, temi che caratterizzano fortemente il lavoro di Valentina Torrente. Informare, formare ed educare a una progettazione rigenerativa è la sua vocazione.

«Non realizziamo edifici sostenibili perché lo dicono i requisiti, le normative – così ha esordito nel suo intervento – ma perché è proprio necessario. Ci sono esperienze di progettazione in contesti di emergenza, dovremmo essere consapevoli che tutto il pianeta è in emergenza; dobbiamo prendere consapevolezza che il nostro modo di progettare, di lavorare e il nostro modello di sviluppo sono inseriti in un contesto di emergenza.

Non ci sono altri pianeti, ce n’è solo uno e anche l’approccio che probabilmente dobbiamo cercare di avere non è solo quello di limitare, ma quello di rigenerare che è il grande tema del futuro. Ci chiediamo quale è il modello del futuro, partendo dall’idea che, nel lessico comune, essere rigenerativi significa solo ridurre le emissioni; in realtà c’è una serie di processi che sembrano lontani e invece sono iperconnessi e molto vicini, e rendono possibile la vita sulla terra e così i processi produttivi: sono i planetary boundaries dei quali il climate change, che sembrava tanto lontano e oggi è molto vicino, è solo uno dei processi. Per poter continuare ad essere rigenerativi è necessario che rientriamo entro certi limiti di questi boundaries.

Consapevolezza

Per prendere consapevolezza di questo nostro agire sul pianeta e capire come possiamo essere rigenerativi, alcuni anni fa, è stata pubblicata una ricerca secondo la quale nel 2020 la massa antropogenica, ossia la massa artificiale generata dall’uomo, ha superato la quantità secca di massa biologica; il tutto generato dall’uomo che rappresenta lo 0,01% della massa vivente del nostro pianeta. Noi abbiamo generato tutta questa quantità e l’abbiamo generata sfruttando una quantità di risorse che finiranno, per questo parlo di un pianeta che è un pianeta finito.

Approccio

Però è anche un tema di approccio, parlando di rigenerazione; in base a precise ricerche abbiamo visto che soltanto per produrre l’oggetto che tutti noi riteniamo indispensabile per la nostra vita, ossia il telefono, abbiamo necessità di 118 elementi della tavola periodica.

Consideriamo che la natura, nei processi biologici di cui l’uomo fa parte, necessita solamente di quattro elementi per il 96% dei processi per costruire l’intero ecosistema. Forse la natura ci può insegnare qualcosa in termini di processo perché noi ne siamo parte e oggi sicuramente si stanno facendo tantissimi passi avanti.

Il lavoro del progettista ha un impatto enorme e forse anche molto sottovalutato; per quello parliamo di consapevolezza e rivoluzione culturale, perché noi progettisti come deisgner abbiamo un impatto enorme su quello che è il modello di sviluppo.

Nel mercato si stanno affacciando tantissimi materiali che sono biobased, materiali per l’edilizia che ormai sono anche facilmente rintracciabili perché c’è un enorme ricerca, c’è innovazione in questo ambito.

Alcuni anni fa sono state approfondite queste tematiche che ci hanno portato alla creazione di materiali derivanti dalle squame di pesce, dal bambù o ancora materiali di riciclo. Ciò significa che, vista anche la massa antropogenica che abbiamo generato e visto che il nostro pianeta non ha più risorse, forse quella stessa massa può diventare una risorsa per costruire o per modellare le nostre città rispetto a quello che sono le necessità di una società in evoluzione».

Città modulare

Seguendo questa corrente le città cambiano radicalmente il loro ruolo o meglio diventano fonti preziose. «Il tema dell’urban mining, ossia l’idea di vedere la città come una miniera di materiali da cui attingere, è una delle avanguardie per l’architettura, una possibile strada anche se non l’unica.

Abbiamo provato ad immaginare Milano come una città miniera di materiali come ogni epoca ha immaginato una città del futuro. Lo studio ha portato a suggestioni legate a questa necessità dell’uomo di immaginare la società del futuro rispondente alle condizioni che sono al contorno; forse questa città del futuro è una città un po’ modulare, che si compone, che si scompone, è flessibile e risponde ai processi ecosistemici ispirati alla natura.

Questo approccio lo abbiamo voluto raccontare attraverso una installazione temporanea che ha avuto luogo al salone del mobile 2022; attraverso questo spazio abbiamo ricreato una sorta di ecosistema dove si potevano cogliere tutti questi contenuti per attivare, attraverso questa microarchitettura temporanea, una sorta di consapevolezza collettiva. Potremmo rispondere a queste tematiche attraverso i progetti.

Sede Unipol

La nuova sede Unipol fa parte dello skyline di Milano ed è stato uno dei primi progetti nel quale lo studio si è potuto confrontare con l’approccio progettuale dei Bim, Building Information Modeling.

Il Bim non è solo qualcosa che è prescritto dalla normativa, ma è anche un approccio progettuale che ha delle prospettive in un’ottica di urban mining perché, attraverso il Bim, noi attribuendo tutte le info di un edificio a un modello possiamo creare un digital twin dell’edificio o delle nostre città per aprirci nuove prospettive, per arrivare a questa idea di avere sempre una miniera di materiali disponibili per il futuro.

Anche il Bim può diventare un’opportunità per creare questi nuovi modelli. Chiaramente all’interno dei nostri progetti rientra anche il tema della funzionalità passiva di un edificio; la costruzione deve essere ben progettata per funzionare anche a libello passivo e solo dopo si utilizzano le tecnologie attive.

Un’idea che fa parte del nostro approccio consolidato e probabilmente non è solo un’idea dello studio di Mario Cucinella, ma è una consapevolezza collettiva che prima faceva parte della cultura materiale della nostra società.

Museo fondazione Luigi Rovati

Un altro esempio è il museo della fondazione Luigi Rovati. Il piano ipogeo, che è la parte caratterizzante del progetto e si ispirava in questo alle tombe etrusche, nonostante sia stato realizzato con un materiale che è pensato per esser durabile e sul quale si basano la maggior parte delle nostre architetture storiche che è la pietra, in realtà è stato progettato e pensato per essere smontabile.

Perché ha un sistema costruttivo totalmente a secco. Quindi un giorno, speriamo di no perché è un edificio molto bello e suggestivo, se mai dovessero sorgere altre necessità tutto questo museo potrebbe essere completamente smontato».

Alla sollecitazione ad approfondire il concetto di “città miniera” Valentina Torrente risponde così: «Significa cedere l’edificio come se fosse una banca di materiali da cui attingere per trasformarsi in un’ottica di ciclicità.

Chiaramente è una frontiera, una prospettiva molto ambiziosa; gli strumenti e la tecnologia oggi ci permettono di avere gemelli digitali delle nostre città che ci aiutano a capire come e cosa, a seconda delle necessità, possiamo prelevare riutilizzare. Proprio come avviene in contesti di emergenze proprio perché siamo in un contesto di emergenza globale.

Chiaramente non è così facile a farsi come a dirsi, per il fatto che c’è tutta una tematica legata alla certificazione dei materiali, però diciamo che non ci sono così tante alternative perché il modo in cui costruiamo e a cui siamo abituati prima o poi finirà a prescindere dalle normative, dalle limitazioni che arriveranno dall’alto».

Nei progetti c’è una forte fase di ricerca, ogni progetto cerca di avere un’identità ecologica specifica; in che modo nello studio si gestisce il rapporto con l’innovazione e in che modo economico si crea un loop per renderlo possibile?

Ricerca

«All’interno dello studio – ha concluso Torrente – c’è un dipartimento di ricerca e sviluppo abbastanza strutturato e consolidato che contribuisce alla progettazione e accompagna il team durante tutte le fasi.

Chiaramente oltre a dare un contributo di natura tecnica, legato alle analisi che contribuiscono a far vedere le performance dell’edificio prima di tutto passive prima ancora che attive o alle analisi envoirmental delle facciate, c’è anche una ricerca sul contesto, sulle tecnologie, sull’innovazione che si cercano di portare avanti.

Il gruppo di ricerca lavora sia sui progetti che su grandi temi di ricerca che possono diventare un valore aggiunto, ma è anche il progetto che porta il team di ricerca a confrontarsi con una nuova tematica, una nuova sfida».

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