Cambiamento climatico, il trattamento delle acque ora è urgente

Il climatologo Giampiero Maracchi, intervistato una dozzina anni fa, sottolineava che una bomba d’acqua «prima capitava ogni dieci anni, adesso ne abbiamo anche quattro all’anno». Eppure, siamo molto meno inclini a pensare che il cambiamento climatico possa portare in tempi brevi a scenari di forte cambiamento dal punto di vista del clima stagionale, ovvero attraverso lunghi periodi di siccità. Ma è proprio quello che sta succedendo.

La fotografia relativa al cambiamento climatico e agli scenari che abbiamo di fronte è quella elaborata dalla Fondazione Cmcc, il Centro Euro-mediterraneo sui Cambiamenti Climatici, una struttura di ricerca scientifica che opera nel campo della scienza del clima e che realizza simulazioni in particolare per l’area mediterranea.

Il Cmcc ha elaborato una serie di mappe interattive per rispondere a domande molto pratiche: di quanto aumenterà la temperatura da qui al 2050, al 2070 e al 2100? Come cambieranno le piogge? Quale sarà l’impatto di desertificazione verso il quale ci stiamo muovendo?

Le risposte a queste domande sono in una serie di immagini, liberamente interrogabili da chiunque sul sito della Fondazione Cmcc, che mostrano l’evoluzione di dieci indicatori climatici sulla base di due scenari per tre periodi di tempo (2050, 2070, 2100), con mappe e numeri derivanti dalla ricerca della Fondazione sul clima atteso per il futuro dell’Italia fino alla fine del secolo. E i dati sono effettivamente preoccupanti.

Lo scenario

In particolare, in riferimento allo scenario denominato Rcp8.5, basato sul fatto che non siano adottati provvedimenti per salvaguardare il clima. Nonostante i progressi tecnologici, le emissioni che si ripercuotono sul clima continueranno ad aumentare, e con esse il riscaldamento globale, che comporta un incremento della desertificazione, una maggior presenza di periodi prolungati di caldo rispetto a oggi e dall’altro lato un incremento significativo per alcune regioni italiane delle precipitazioni piovose di carattere consistente.

Come noto, una politica di coerente protezione dei cambiamenti climatici dovrebbe prendere seri provvedimenti per ridurre praticamente a zero le emissioni di gas a effetto serra nell’atmosfera entro il 2050. Ma gli sforzi che stiamo facendo sono pochi e peraltro neppure bene accetti dalla politica. Basti vedere la levata di scudi a livello politico nazionale rispetto alle nuove direttive europee che, quando approvate, obbligheranno a intervenire su tutto il patrimonio edificato più energivoro.

E, dunque, con orizzonti di rigenerazione energetica del costruito, che dovrebbe coinvolgere almeno 10 milioni di abitazioni in Italia, praticamente la metà di quelle oggi abitate. Siamo di fronte a un bivio ineludibile: da un lato la salvezza non solo del pianeta e con esso di tutto ciò che ci riguarda, socialità ed economia comprese, da un altro il proseguire in una poco scientifica azione di consumo ulteriore di risorse, alcune delle quali ormai di natura scarsa. L’aria e l’acqua fra tutte.

Senza azioni concrete e consistenti non riusciremo a raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima del 2015 (Cop21) e a contenere il riscaldamento globale a 2 gradi rispetto ai livelli preindustriali.

Scelte drastiche

La lotta al cambiamento climatico, che in Italia spesso è tradotta e spiegata in modo erroneo attraverso il termine resilienza, è una vera sfida che impone la drastica scelta di intervenire in ogni singolo ambito di azione con interventi che comportino miglioramenti e azioni in grado di contrastare il cambiamento climatico e ridurre l’effetto serra.

Le abitazioni sono il principale sistema di produzione di Co2, ma se mettiamo in fila anche gli altri ambiti nei quali l’edilizia è coinvolta su questo fronte, si supera di gran lunga il 50% delle emissioni. Inoltre, il settore delle costruzioni, fin dalle fasi di progettazione degli edifici, può dare un contributo determinante nella risoluzione di molti problemi derivanti dal cambiamento climatico, primo fra tutti il tema della siccità e delle azioni per ridurne l’impatto.

Siccità e tempeste

È di tutta evidenza, nonché ben documentato a livello scientifico dall’Ipcc e da numerosi studi a livello internazionale e nazionale, che stiamo ormai da decenni procedendo a una progressiva desertificazione del territorio, un fenomeno che non coinvolge solo l’Africa e le regioni equatoriali, con la loro progressiva perdita di capacità produttiva agricola e dunque esigenze di migrazione delle popolazioni, ma i cui esiti arrivano fino in Europa e dai quali l’Italia è particolarmente investita, come testimoniano nei fatti le lunghe siccità degli ultimi anni, una in questi mesi di scarsa piovosità e nevosità, e un’altra legata al 2022, uno degli anni più caldi e meno piovosi degli ultimi decenni.

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Desertificazione del territorio e siccità

Il ciclo idrico

L’incremento della siccità necessita di capacità di intervento che riguardano lo studio del ciclo dell’acqua a tutti i livelli. Il settore delle costruzioni, e la progettazione in particolare, è un attore importante in questo ambito perché è attraverso il riutilizzo delle acque che si può incrementare la capacità di un territorio o di una città a mantenere riserve sufficienti a garantire la sostenibilità delle attività, non solo agricole, ma anche quelle legate agli usi pubblici e civici, nei periodi di carenza.

Un esempio è il riutilizzo delle acque di drenaggio, sia in agricoltura sia in ambito civile. Drenaggio, come noto, è un termine tecnico che deriva dall’inglese to drain, che significa prosciugare. In sostanza, il drenaggio è quell’insieme di azioni, naturali o artificiali, che permettono a un terreno di smaltire l’acqua in eccesso immagazzinandola a livello profondo, nelle falde, oppure in appositi depositi.

Circolo virtuoso

Se da un lato il drenaggio ha lo scopo di eliminare le acque d’infiltrazione presenti nei terreni, da un altro lato è anche un sistema utile non solo a eliminare il liquido in eccesso, ma ad accumulare e recuperare la pioggia per i momenti di scarsità. Negli insediamenti urbani ciò è particolarmente importante, soprattutto nell’ambito del recupero delle acque meteoriche o delle acque bianche.

In sostanza si può, attraverso la tecnica e la tecnologia, agire sul ciclo dell’acqua, riducendo gli effetti negativi delle eccessive impermeabilizzazioni dei terreni e della riduzione della presenza di acqua a causa di minori eventi piovosi.

In questo ambito, per esempio, nelle città è di fondamentale importanza superare la tradizionale canalizzazione dei deflussi meteorici e privilegiare la ripermeabilizzazione del suolo, mediante l’infiltrazione delle acque meteoriche o il loro recupero per l’utilizzazione civile.

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Reti fognarie

Da un altro lato le forti precipitazioni, sempre più frequenti a causa dei cambiamenti climatici, provocano picchi di portata idrica non gestibili dalle reti fognarie e dai corsi d’acqua superficiali, con conseguenti allagamenti e inondazioni di zone abitate e agricole, con danni a vari livelli, da quelli legati alle esondazioni in città a quelli legati alla perdita della produzione agricola.

In questo ambito le tecniche di drenaggio devono associarsi alla realizzazione di bacini di accumulo e vasche di laminazione in grado di assorbire, contenere e mantenere riserve idriche, rilasciandole lentamente e quando necessario. Il perché di tutta questa attenzione al ciclo dell’acqua è di fondamentale importanza non solo per contrastare il cambiamento climatico, ma anche perché negli ultimi cento anni l’utilizzo è aumentato di sei volte.

Molto dipende dal nostro stile di vita, che ovviamente possiamo modificare non tanto riducendo le necessità idriche (anche se si potrebbe fare molto in questo ambito, ovviamente modificando il nostro stile di vita e i cicli associati, come quello del consumo alimentare e della produzione di beni alimentari, cosa ardua da fare nel breve periodo), quanto riutilizzando al meglio le risorse in un’ottica di sostenibilità e di circolarità.

I cambiamenti climatici influiranno sempre più sulla disponibilità di acqua e, dunque, è importante porla al centro delle azioni di gestione sostenibile, che nell’edilizia e nelle costruzioni significa introdurre pratiche ad azioni specifiche fin dalle fasi progettuali, a quelle di intervento sul patrimonio costruito, ma senza dimenticare la gestione dei cantieri e la riduzione delle emissioni anche in questo ambito.

Per esempio, per contrastare la siccità oggi vi sono tecniche di prelievo dell’umidità atmosferica, come il cloud seeding, la cosiddetta inseminazione delle nuvole, o la raccolta d’acqua dalla nebbia, tecniche che rappresentano soluzioni a basso costo per aree nelle quali vi sia presenza rilevante di nuvole o di nebbia.

Affrontare le sfide del cambiamento climatico

Ma il vero punto chiave, come indicato da Un-Water, la struttura delle Nazioni Unite che studia e analizza il ciclo dell’acqua per aiutare i vari Paesi a scegliere politiche e azioni in grado di contrastarne il depauperamento e ad agire in modo unitario a livello mondiale rispetto alle sfide legate all’acqua.

Ogni anno, in occasione della Giornata mondiale dell’acqua, l’Un-Water rilascia un proprio report, che fornisce indicazioni su come affrontare le sfide dei cambiamenti climatici gestendo al meglio le risorse idriche. Secondo il report, circa i due terzi delle emissioni di gas a effetto serra di origine antropica provengono dall’utilizzo e dalla produzione di energia.

È evidente, quindi, che l’energia sia al centro delle iniziative sui cambiamenti climatici. Per mitigare le emissioni, dichiara il report, occorre focalizzare l’attenzione sulla riduzione della domanda di energia e sull’incremento dell’efficienza energetica.

Le azioni

Ecco che per intervenire efficacemente nel ciclo dell’acqua, tutte le azioni che vedono interventi di riduzione dei consumi di energia e l’incremento della produzione energetica da fonti sostenibili, sono azioni che vanno nella giusta direzione e la cosa importante da sottolineare è che non vi sono altre direzioni possibili.

Per il mondo delle costruzioni significa rivedere i propri processi produttivi, a partire dalle fasi di progettazione delle opere, siano esse abitazioni, edifici o strutture più complesse. È in tutto il ciclo di vita del prodotto progettuale che vanno trovati gli equilibri e i risparmi energetici e dell’uso delle risorse come l’acqua, al fine di ridurre complessivamente le emissioni, ridurre gli impatti e garantire una sostenibilità vera ed effettiva alle azioni, siano esse di nuova costruzione che di rigenerazione del patrimonio costruito.

Ed è dalla progettazione e poi dalla gestione degli interventi che si generano i benefici, che potremo vedere in futuro, e dunque i progettisti oggi hanno forse una responsabilità ancora maggiore rispetto a un tempo, perché oggi possono essere in fin dei conti i veri progettisti della sostenibilità.

Il trattamento

Drenaggio e trattamento acque fanno parte di quell’ampio ambito di azioni che tendono a contrastare gli effetti del cambiamento climatico che, associati all’azione dell’uomo sulla natura e sul territorio costruito, di fatto hanno creato una mappa dei rischi alluvionali che ogni anno, purtroppo, presenta in qualche regione d’Italia il suo conto.

È accaduto di recente all’Emilia Romagna e in Toscana, ma la lista è lunga e il Cnr, attraverso il suo progetto Polaris (Popolazione a rischio da frana e da inondazione in Italia, nel web all’indirizzo polaris. irpi.cnr.it), ha censito negli ultimi 50 anni 1.610 morti e oltre 305 mila evacuati e senza tetto in 2.186 comuni colpiti per un totale di 3.920 località colpite.

Le regioni montane sono quelle più a rischio, per i problemi legati al dissesto idrogeologico, ma nessuna area italiana è esente da rischi. Polaris è un progetto web gestito dall’Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica (Irpi) del Consiglio Nazionale delle Ricerche, che ha il fine di sensibilizzare e informare su rischi e conseguenze, con una sezione dedicata alla prevenzione e ai comportamenti da tenere prima, durante e dopo un’inondazione o una frana.

L’Istituto, che opera nell’ambito del dipartimento Scienze del Sistema Terra e Tecnologie per l’Ambiente del Cnr, svolge attività di ricerca e sviluppo tecnologico nel settore dei rischi naturali e della protezione territoriale, offre consulenza scientifica e tecnica alla pubblica amministrazione e a privati, e collabora ad attività di formazione e di disseminazione sui rischi naturali e i loro effetti, con particolare attenzione ai rischi geo-idrologici.

I numeri di Polaris

I numeri presentati nei consueti rapporti annuali di Polaris sono eclatanti, ma soprattutto mettono in luce una fragilità nazionale che  scopriamo ogni qualvolta avviene un evento più o meno catastrofico, per poi dimenticarci in breve tempo del problema a monte, arginando solo le conseguenze con tutti gli inevitabili corollari di «territori colpiti da calamità naturali» che, a bene vedere, di naturale hanno ben poco: tutti gli eventi sono causati per la maggior parte dell’azione o della non-azione dell’uomo.

La montagna è un esempio in questo senso e un recente rapporto di Uncem, l’Unione nazionale Comuni Comunità Enti montani, evidenzia come a monte, nel vero senso della parola, vi siano molti problemi da risolvere, che se non risolti poi si spostano a valle, con tutte le conseguenze negative del caso.

La superficie sottoposta a pericolosità elevata per dissesto idrogeologico è molto diffusa in montagna, dove investe 20 mila chilometri quadrati, ma il dato è molto più eclatante se si pensa che in Italia il 58% dei 6,7 milioni di abitanti che vivono in Comuni con rischio elevato vive in montagna. È chiaro che il tema principale in questo caso è l’abbandono.

Cementificazione

Dal 1961, data del primo censimento della agricoltura italiano, al 2010, la superficie territoriale direttamente riconducibile al controllo delle aziende agricole è diminuita di 93 mila chilometri quadrati (dei 300 mila che formano il territorio nazionale). Praticamente, un terzo del territorio nazionale è uscito dal controllo degli agricoltori e meno del 10% di quello agricolo e forestale è stato cementificato.

Paradossalmente, è territorio non consumato, che tuttavia è uscito dall’uso e dalla manutenzione ordinaria che l’agricoltura di montagna e di pianura ha sempre fatto del terreno producendo inselvatichimento, riduzione della funzionalità idraulica, riduzione dei tempi di corrivazione (assorbimento) delle piene e aumento del trasporto solido nelle acque, con le conseguenze negative che ormai ogni anno colpiscono le nostre regioni.

Le proposte

Uncem, nel suo dossier dedicato, indica 15 proposte per mettere in sicurezza territori e comunità. Il primo punto riguarda le risorse messe a disposizione, oggi concentrate su fondi del Pnrr: poche rispetto alle esigenze vere stimate in una spesa minima media di 10 miliardi all’anno per dieci anni.

Ma il dossier indica anche altri progetti che sarebbe necessario affrontare per ridurre i rischi, come intervenire sugli 11 milioni di ettari di boschi (un terzo della superficie nazionale) oggi per lo più non gestiti e che, come la tempesta Vaia ha dimostrato in Trentino e in Veneto, sono preda di eventi calamitosi ai quali dobbiamo sempre più abituarci, a causa del cambiamento climatico.

Oltre ad altre proposte specifiche, sul fronte prettamente finanziario l’interessante dossier Uncem propone l’abbassamento dell’aliquota Iva al 10% per «alcune tipologie di interventi pubblici di primaria importanza per la sicurezza del territorio e la qualità della vita delle comunità»:

  • interventi per la difesa del suolo e la messa in sicurezza di abitati
  • interventi di difesa idraulica
  • interventi per la manutenzione del territorio e la regimazione idraulica; – interventi per il ripristino di terreni colpiti da incendi
  • interventi di miglioramento forestale e prevenzione incendi
  • interventi per la fruizione di aree naturali

Come sottolinea il dossier, «trattandosi di interventi a totale carico pubblico, il costo dell’Iva è a oggi eccessivo. A legislazione vigente, un quinto delle risorse economiche di cui gli enti locali dispongono per questo tipo di iniziative torna infatti allo Stato.

È necessario una modifica normativa al fine di garantire una migliore spesa delle risorse disponibili per la salvaguardia di risorse per la salvaguardia del territorio e la prevenzione del dissesto».

Il dissesto

Non si può che essere d’accordo con queste proposte, che tuttavia fanno il paio con le misure di contrasto al dissesto idrogeologico analizzate e promosse da Ance in varie audizioni presso la VIII Commissione Ambiente Territorio e Lavori Pubblici della Camera. In una  audizione del 2020 Ance sottolineava come i danni certificati dall’Unione Europea dal 2002 a quell’anno fossero pari a quasi 59 miliardi di euro, i quali rappresentavano il 44% dei danni totali subiti in tutta Europa (134 miliardi). Grazie a questo indicatore così negativo l’Italia tra il 2002 e il 2019 ha ottenuto dal Fondo di solidarietà della Ue 2,8 miliardi, pari a oltre la metà dell’importo totale erogato ai 28 Paesi (5,5 miliardi).

Sempre secondo Ance, a partire dal 2014 sono state messe in campo varie azioni di governance atte a favorire gli interventi e la spesa su azioni di manutenzione e prevenzione, ma con scarsa efficacia, nonostante i buoni propositi. Va ricordato che nel 2014, l’allora Governo Renzi aveva dato avvio alla Struttura di Missione «Italia Sicura», per coordinare e programmare gli interventi.

Tra il 2014 e il 2017 erano stato individuato un fabbisogno complessivo di 29 miliardi di euro, relativo a 9 mila interventi su tutto il territorio nazionale, che avrebbe potuto contare su circa 12 miliardi di euro di risorse disponibili, oltre a poter contare su un prestito Bei (1 miliardo di fatto mai attivato), a valere sui fondi pluriennali previsti dalla legge di Stabilità 2016 (50 milioni annui nel 2016 e 2017, 150 milioni annui dal 2018).

La richiesta dell’Ance

Come sottolinea Ance, nell’audizione del 10 novembre 2020, oltre ai fabbisogni erano stati individuati anche criteri per la scelta delle priorità
nell’attribuzione delle risorse in un’ottica di programmazione pluriennale. Nell’arco di tre anni, grazie a Italia Sicura, si ottennero alcuni primi risultati. Vennero investiti poco meno di 2,3 miliardi di euro in 1.781 opere.

In pratica, interventi diffusi per circa 1,3 milioni di euro a intervento, sbloccando opere rimaste ferme nelle contabilità locali per inutili lungaggini burocratiche. A luglio 2018 il governo Conte I, però, ha soppresso la Struttura di Missione Italia Sicura, con il conseguente accentramento di funzioni in capo al ministero dell’Ambiente e con, di fatto, il blocco di qualsiasi attività, perse tra le nuove cabine di regia (Strategia Italia, Missione Investitalia) istituite nel frattempo e che non hanno inciso minimamente sule esigenze straordinarie di messa in sicurezza dei nostri territori dal punto di vista idraulico, con buona pace di tutte le tecnologie e pratiche non solo sul drenaggio.

Ma, per esempio, sulla capacità di costituire bacini di laminazione anche in città, azioni che oggi potrebbero contribuire in modo significativo ad abbassare il rischio idraulico.

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Bacini di laminazione

Tempi burocratici

Un altro elemento critico dell’inefficienza della spesa può essere individuato a livello di città. Il Piano stralcio per le aree metropolitane, che affrontava la necessità di mitigare il rischio idrogeologico nelle aree urbane, avviato nel 2015 e dotato di un finanziamento di 1,3 miliardi di euro, nel 2020 aveva prodotto cinque anni dopo l’avvio di lavori che per il 64% era ancora a livello di progettazione e che registrava al tempo una spesa effettiva pari solo al 15% della dotazione complessiva del programma.

Il punto critico di tutte le azioni e i progetti che riguardano il contrasto al dissesto in Italia risiede nella lungaggine dei tempi burocratici, come evidenziato dal Sole 24 Ore in un dossier sulle gestioni commissariali che, dopo dieci anni, evidenziano che dei 5,9 miliardi complessivi destinati a interventi, in teoria con canali preferenziali e veloci di realizzazione, solo 1,5 miliardi erano stati spesi, praticamente solo il 26%. Il tema conclamato è la presenza di procedure di approvazione farraginose, spesso sommate a carenze di progettazione e, soprattutto, rallentamenti e lentezze nell’attuazione degli interventi.

Nella passata stagione di programmazione europea 2014-2020 vi erano 1,6 miliardi disponibili, tra fondi europei e cofinanziamento nazionale, per interventi atti a «promuovere l’adattamento al cambiamento climatico, la prevenzione e la gestione dei rischi». Dopo sette anni di programmazione i fondi spesi sommavano solo 443 milioni di euro, pari al 27,6% del totale.

Procedimenti complessi

Le proposte per superare questi impasse sono molteplici, da quelle recenti e citate di Uncem a quelle ormai storiche di Ance, che tuttavia sembrano sempre ottime proposte sulla carta, ma che difficilmente trovano poi applicazione adeguata e inserimento nelle politiche dei diversi governi, senza distinzione di area politica.

Il tema principale certamente è quello della complessità dei procedimenti autorizzativi, che dipendono dai molti pareri, nulla osta e atti di assenso necessari a produrre interventi efficaci sia a livello territoriale che di ambiti urbani.

Per fare solo qualche esempio, si tratta dell’autorizzazione idrogeologica, del parere dell’Autorità di bacino, dell’autorizzazione paesaggistica, della valutazione d’impatto ambientale in presenza di progetti di determinate tipologie, del nulla osta di enti vari, della valutazione di incidenza se ricadono all’interno di siti interesse comunitario, dei pareri del Consorzio di bonifica e/o di altri enti…

Insomma, un numero estremamente rilevante di permessi e pareri, spesso vincolanti, che producono una lentezza burocratica che solo con le Conferenze di Servizi a volte, molto raramente, si riesce a superare, come dimostra peraltro la lentezza nella gestione delle opere commissariali, che dovrebbero per definizione avere iter più celeri.

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Gestione delle acque

Risorsa fondamentale

Il problema vero è che i danni legati al cambiamento climatico non aspettano la burocrazia e lo smaltimento e trattamento delle acque oggi è un tema quanto mai urgente, soprattutto in previsione di quanto l’acqua oggi rappresenti, in tutte le sue forme, una risorsa fondamentale per la vita umana, che va gestita in modo adeguato, preparandoci a utilizzare tutte le tecnologie adeguate al suo trattamento.

La recente siccità evidenzia l’obbligo di affrontare in modo adeguato le problematiche esposte. Progetti ve ne sono tanti, risorse forse non abbastanza, ma da qualche parte bisogna iniziare, sapendo che gli aiuti straordinari possono essere importanti, ma risolvono, in caso, solo alcuni e limitati problemi, mentre la gestione dell’acqua, in tutte le sue forme, deve diventare sempre più un fattore ordinario di gestione e non solo l’ennesima straordinarietà di intervento post calamità, come purtroppo siamo sempre abituati a fare.

Gli obiettivi di bruxelles

L’Europa da molti anni, attraverso i vari periodi di programmazione, è impegnata nel sostenere progetti e iniziative a supporto non solo della ricerca, attraverso progetti pilota, ma anche di azioni vere e proprie di intervento. L’obiettivo è migliorare l’equilibrio idrogeologico di alcune aree e favorire azioni di miglioramento di gestione delle acque, con particolare riferimento a quelle reflue. Le politiche europee in questo senso hanno favorito, a partire dagli ultimi vent’anni, azioni di crescente interesse e indirizzo operativo, destinate ai paesi membri, relative alle cosiddette «misure di ritenzione naturale delle acque» (Natural Water Retention Measures, indicate con Nwrm).

L’interesse europeo per queste misure risiede nei molteplici vantaggi che le Nwrm possono potenzialmente fornire e nella loro capacità di contribuire contemporaneamente al raggiungimento degli obiettivi di diverse politiche dell’Unione Europea.

Tra queste, ricordiamo la direttiva quadro sulle acque del 23 ottobre 2000 (2000/60/Ce), che stabilisce l’azione comunitaria nel campo delle politiche idriche, la direttiva 2007/60/Ce del 23 ottobre 2007 sulla valutazione e gestione dei rischi da alluvione, la comunicazione dalla Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle Regioni, Com (2011) 244, contenente la strategia dell’Ue sulla biodiversità, l’azione europea sulla carenza d’acqua e la siccità, Com (2007) 414, attivata dalla comunicazione dalla Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio e, soprattutto, la strategia europea sull’adattamento ai cambiamenti climatici, Com (2013) 216, avviata con la comunicazione dalla Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni nel 2013.

Il ruolo dell’Europa. Al fine di supportare questi indirizzi politici e programmatici con azioni operative, la Commissione Europea ha lanciato negli ultimi anni una serie di iniziative sulle Nwrm nel contesto della strategia di realizzazione comune della direttiva quadro sulle acque (Water Frame Directive), che è focalizzata sull’assicurare una buona salute, qualitativa e quantitativa, ovvero ridurre ed eliminare l’inquinamento garantendo al contempo una sufficiente quantità idrica a disposizione sia per l’ambiente sia per i bisogni umani.

Tale azione di indirizzo politico e programmatico si è poi condensata nel Documento sulle politiche europee relative alle misure di ritenzione naturale delle acque, realizzato dal team di stesura del Programma di misure del gruppo di lavoro europeo sulla Water Frame Directive, pubblicato dalla Commissione Europea nel 2014.

Al di là degli obiettivi individuati dai programmi europei, le indicazioni dei vari documenti e gruppi di lavoro sono molto concrete. Per esempio, relativamente alle Nwrm, hanno iniziato con azioni di studio al fine di valutare costi e vantaggi attesi per supportare il raggiungimento degli obiettivi delle politiche idriche della Ue, con l’avvio di progetti pilota per costruire una base di conoscenze condivise, oggi disponibili nel web attraverso i portali europei.

A valle di questo percorso, la direzione generale della Politica regionale e urbana ha promosso, nell’ultimo periodo di programmazione europea (2014-2020) alcuni programmi tematici inseriti nella linea politica Europa più verde, all’interno della quale vi è una tematica specifica dedicata alla Protezione dell’ambiente ed efficienza delle risorse. In questa sono stati attivati molti progetti europei, molti dei quali destinati soprattutto ai Paesi nuovi entrati attraverso il Fondo di Coesione, che hanno finanziato interventi relativi al drenaggio e al trattamento delle acque. progetti sotto la lente

Il portale web Kohesio

Attraverso il portale web europeo Kohesio è possibile scoprire e analizzare quali progetti l’Europa ha attivato nelle diverse regioni, con dettagli puntuali sui diversi obiettivi e azioni messi in atto. Il portale è costantemente aggiornato e nel nostro specifico caso selezionando, attraverso i filtri, la politica di una Europa più verde e la tematica Protezione dell’ambiente ed efficienza delle risorse, emergono oltre 35 mila progetti attivati, alcuni con dotazionimolto consistenti e per lo più derivanti dal Fondo di Coesione, per i Paesi nuovi entrati, o dai fondi Fesr per le altre regioni.

A livello europeo il tema del drenaggio e trattamento acque vede oggi attivi in Europa complessivamente 4.542 progetti, la maggior parte dei quali in Paesi e regioni dell’area dedicata al Fondo di coesione per quelli entrati più di recente nell’Unione. Di questi, 1.259 sono relativi a interventi collegati più direttamente ai temi del drenaggio, mentre 3.283 si riferiscono a interventi relativi al trattamento delle acque, in particolare quelle reflue.

Gli investimenti

Sarebbero moltissimi gli esempi e i dati, anche quantitativi relativi agli investimenti attivati, che si potrebbero citare (per un approfondimento si rinvia al già citato sito web europeo Kohesio), ma a titolo di esempio citiamo due casi, uno straniero e uno italiano, che evidenziano le tipologie di azioni oggi sostenute dalla Ue con propri fondi strutturali o di coesione.

Il progetto straniero riguarda un progetto realizzato in Croazia, nell’agglomerato di Varaždin. Prevede la costruzione di un sistema di drenaggio pubblico per una lunghezza totale di 241 chilometri, 108 stazioni di sovraffollamento, tre bacini di conservazione delle piogge e il ripristino di 2,6 chilometri di condotte gravitazionali esistenti.

Inoltre, il progetto tratterà le acque reflue del sistema di drenaggio pubblico e delle acque reflue provenienti da fosse settiche provenienti da parti dell’agglomerazione in cui la costruzione del sistema di drenaggio non è efficiente in termini di costi, consentendo il collegamento supplementare di 40.468 abitanti al sistema di trattamento delle acque reflue.

L’esempio  nazionale è invece relativo alla ristrutturazione e potenziamento dell’impianto di depurazione dei comuni di Bellona, Camigliano, Pastorano e Vitulazio, in provincia di Caserta. Le opere previste consentono di riqualificare e rifunzionalizzare l’intero sistema fognario, canalizzando e ripristinando tratti insufficienti per speco e/o per mal funzionamento della rete.

L’impianto di trattamento dei reflui sarà adeguato in termini di capacità, per garantire il corretto funzionamento dell’impianto e nel contempo avere il corretto andamento del ciclo integrato delle acque.

Tutti gli interventi previsti e le apparecchiature individuate, oltre ai dimensionamenti e verifiche effettuate, vanno nella direzione del rispetto normativo in materia ambientale, in particolare permettono di stabilizzare i valori dei reflui trattati ai limiti imposti e richiamati dal decreto legislativo152. La dimensione economica di questo progetto è pari a 3,7 milioni di euro, dei quali 2,8 (pari al 75%) cofinanziati dalla Ue.

Le regole ci sono. In teoria

In Italia l’emergenza idrica è un tema attorno al quale si stanno sviluppando sempre più azioni mirate di intervento. Gli effetti dei cambiamenti climatici stanno mettendo sempre più a fuoco come l’alternanza di lunghi periodi siccitosi a periodi di forti e intense piogge comportino conseguenze ben conosciute nella teoria, ma poco affrontate dal punto di vista pratico.

Il cambiamento climatico mette a rischio la quantità e la qualità dell’acqua a disposizione, sia per l’ambiente naturale e il territorio, sia per i bisogni umani, da quelli civili a quelli agricoli e industriali. L’area del Mediterraneo è definita un hot-spot di rilevanza globale nell’ambito del cambiamento climatico, un luogo nel quale si stanno modificando rapidamente e significativamente i regimi termo-pluviometrici, compreso il livello medio del mare e, di conseguenza, la disponibilità delle risorse idriche superficiali e sotterranee.

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Drenaggio piogge

Le stime

Secondo il programma delle Nazioni Unite per il Mediterraneo il riscaldamento medio regionale supererà il valore medio globale del 20% ed è previsto che entro il 2050 la richiesta di acqua raddoppierà o triplicherà.

Secondo il Joint Research Centre (Jrc) della Commissione Europea, a livello europeo sono circa 52 milioni le persone che vivono in aree considerate sotto stress idrico per almeno un mese all’anno, pari all’11% della popolazione europea.

L’Italia partecipa a questa statistica con un valore considerevole, 15 milioni di abitanti, ovvero il 28% degli europei che vivono in condizioni di stress idrico. E tali numeri sono destinati a crescere nei prossimi anni.

Lo studio del Jrc, inoltre, ha stimato che il danno economico per le perdite del settore agricolo, energetico, dei trasporti e alle infrastrutture per la subsidenza è pari a circa 9 miliardi di euro all’anno a livello europeo, dei quali 1,4 miliardi fanno riferimento all’Italia.

I volumi

Sul fronte dell’approvvigionamento idrico uno studio di Legambiente ha messo in evidenza come «mediamente le precipitazioni annuali in Italia ammontano a circa 300 miliardi di metri cubi di acqua, di cui solamente 58 miliardi sono effettivamente utilizzabili, a causa della distribuzione non omogenea delle piogge e dell’evaporazione.

In questo contesto, i dati pluviometrici relativi alle 109 città capoluogo di provincia nel 2020, anno in cui le piogge sono state anche inferiori alle medie storiche di riferimento, ammontano a circa 13 miliardi di metri cubi di acqua piovana. Acqua caduta sui tetti, sull’asfalto e sul cemento delle nostre case e delle nostre città e che viene rapidamente convogliata nelle fognature o nei corsi d’acqua.

Uno spreco di risorsa enorme, se pensiamo che 13 miliardi di metri cubi di acqua corrispondono a circa il 40% dei prelievi medi annui di acqua in Italia (circa 33 miliardi di metri cubi). Un volume che è il doppio di quello contenuto nei 374 grandi invasi in esercizio, che ammonta a circa 6,9 miliardi di metri cubi».

Il piano

Attualmente il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici è in fase di consultazione pubblica, ma serve certamente una velocizzazione nei percorsi nazionali, regionali e locali di pianificazione al fine di inserire negli strumenti regolatori della gestione del territorio norme che favoriscano l’installazione di sistemi di drenaggio e recupero delle acque meteoriche, in particolare nelle città e negli ambiti urbani edificati, a partire da quelli pubblici e da quelli residenziali, al fine di raggiungere, in modo graduale, ma sostanziale almeno il 20% di acque meteoriche recuperate entro il 2025, il 35% entro il 2027 e il 50% entro il 2030.

Leggi & Norme

In tema di drenaggio urbano le norme fanno riferimento al quadro europeo, con la Direttiva Acque e con la Direttiva Alluvioni, dalle quali derivano le normative nazionali riferite principalmente a tre i riferimenti normativi che regolano il trattamento delle acque reflue: decreto legislativo 152/1999: Ciclo delle acque, che contiene al suo interno il principio fondamentale in materia di trattamento di acque reflue c he prescrive che «tutti gli scarichi devono essere autorizzati», decreto legislativo 152/2006: Testo Unico Ambientale, che recupera alcuni principi del decreto precedente, bloccando i valori massimi degli scarichi, in funzione delle differenti tipologie di acque reflue (urbane, domestiche o industriali), legge 20 novembre 2017, n. 167: Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea , legge europea 2017 (17G00180) (GU Serie Generale n.277 del 27-11-2017): con riferimento al Capo VI Disposizioni in materia di tutela dell’ambiente e in particolare ai seguenti due articoli: il numero 16 (Disposizioni in materia di tutela delle acque) e il 17 (Corretta attuazione della direttiva 91/271/Cee in materia di acque reflue urbane, con riferimento all’applicazione dei limiti di emissione degli scarichi idrici).

Prima pioggia

In tema di drenaggio un ambito particolarmente sensibile è quello delle cosiddette acque di prima pioggia. L’evoluzione del clima ha messo sempre più in evidenza come gli episodi atmosferici intensi creino situazioni di disagio, pericolo e rischio sempre più elevato, come sottolineano le sempre più frequenti statistiche sul clima e sui danni da eventi calamitosi, alluvioni e frane comprese.

L’acqua di prima pioggia (o di dilavamento), corrisponde ai primi 5 millimetri di pioggia, che cade su aree urbanizzate quali parcheggi o piazzali, in particolare di attività produttive e commerciali situate in aree impermeabilizzate a causa della loro asfaltatura.

Le acque di dilavamento, scorrendo velocemente in superficie, raccolgono e trascinano con loro gli elementi inquinanti depositati sull’asfalto (olii, grassi, idrocarburi, altri materiali legati all’attività che si svolge sul piazzale, particelle inquinanti prima sospese in aria e poi ricadute sulle superfici) e diventano cariche di elementi nocivi, che non posso essere rilasciati direttamente nel terreno o in un corso d’acqua, ma vanno intercettati e trattati secondo quanto previsto dal decreto legislativo del 3 aprile 2006 n. 152.

I criteri

Da questo punto di vista, il Testo unico sulle acque che contiene le Norme in materia ambientale, ha introdotto in Italia criteri molto precisi nell’ambito delle competenze e delle modalità di trattamento delle acque meteoriche.

Per esempio, con l’obbligo in fase di progetto esecutivo di prevedere un impianto di trattamento delle acque che sia conforme alle normative e garantisca la prevenzione dell’inquinamento del suolo e delle acque.

Questo vale per le nuove strutture. Ma per quelle già esistenti i problemi ovviamente sono quelli di essere dotati o di dotarsi di sistemi di intercettazione delle acque e del loro convogliamento verso sistemi fognari efficienti e in grado di depurare e filtrare la massa liquida, per poi poterla riutilizzare.

Il trattamento

Il drenaggio, quindi, si lega al trattamento delle acque, perché dopo la raccolta va attivata un’azione di depurazione delle reflue. Le normative da rispettare in tema di depurazione delle acque reflue riguardano tutti gli impianti di depurazione posti al servizio degli edifici, indipendentemente dalla loro destinazione d’uso.

Rientrano nel decreto ministeriale 37/08, che prevede l’obbligo della dichiarazione di conformità per lavori di nuova realizzazione, trasformazione, ampliamento, modifica o manutenzione straordinaria. Inoltre, secondo il Regolamento europeo 305/2011, per selezionare, progettare e installare un impianto di depurazione delle acque reflue bisogna prestare attenzione a tre aspetti basilari: utilizzo esclusivo di prodotti normati e certificati Ce, progettazione in conformità alle normative vigenti in materia di sistemi di scarico, installazione da parte di un’impresa qualificata, in grado di rilasciare la Dichiarazione di Conformità, secondo quanto previsto dal decreto ministeriale 37/08.

Sanzioni

Se un impianto di trattamento e depurazione delle acque non rispetta i principi fissati nella normativa, si può incorrere in sanzioni sia amministrative che penali, in alcuni casi anche molto gravose.

Dunque, è di fondamentale importanza non solo seguire le normative dal punto di vista progettuale ed esecutivo per i nuovi impianti e nella manutenzione straordinaria di quelli esistenti, ma anche dotarsi di sistemi di controllo e monitoraggio dei dati, che verificano la rispondenza degli impianti e delle soluzioni alle normative stesse e che consentono, al contempo, di rendere più efficiente ed economica la gestione dell’impianto. Gli ambiti di conformità da analizzare per rispettare le normative vigenti riguardano la tipologia dei reflui da trattare, le caratteristiche strutturali dell’impianto e la gestione operativa dell’impianto di depurazione.

Cambiamento-climatico
Progetti europei relativi al drenaggio e al trattamento delle acque attivati negli ultimi dieci anni

Attenzione bio

I rischi nella gestione degli impianti, più che di carattere tecnologico, sono di tipo biologico: se le vasche di depurazione non sono sufficientemente ossigenate possono generarsi situazioni pericolose dal punto di vista dello sviluppo di patogeni, in particolare in presenza di processi anaerobici, con produzione non solo di sostanze maleodoranti, ma anche di rischi per la salute pubblica.

Il monitoraggio e i sistemi di controllo sono di fondamentale importanza e, in questo senso, la tecnologia oggi è certamente sempre più all’avanguardia nell’individuare e proporre soluzioni e informatiche adeguate a queste esigenze.

Enti locali

Infine, dal punto di vista normativo è importante non solo il quadro nazionale, ma anche le eventuali norme regionali e soprattutto quelle locali. Alcune amministrazioni comunali in Italia hanno messo a punto norme e regole specifiche, spesso associate alla pianificazione del territorio o a questa legate dal punto di vista operativo.

Per questo è necessario individuare quali soluzioni siano non solo le più adatte agli interventi da realizzare, ma anche quelle meglio rispondenti alle esigenze del territorio in base alle linee guida o alle prescrizioni promosse dalle amministrazioni comunali.

Linee guida

In questo contesto si porta come esempio un caso molto interessante legato al Comune di Reggio Emilia, che nel 2014 ha licenziato delle specifiche Linee guida per la gestione delle acque meteoriche, focalizzando l’attenzione sulla rete di drenaggio esistente in ambito comunale e individuando da un lato le esigenze di trattamento di prima pioggia nelle diverse aree comunali, nelle aree a destinazione residenziale a quelle a destinazione produttiva/commerciale, dai parcheggi alle strade, dalle vasche di raccolta della prima pioggia ai sistemi alternativi di raccolta, dal trattamento delle acque di prima pioggia fino alle buone pratiche di gestione (best management practices) focalizzate sui seguenti ambiti di intervento: sistemi ad infiltrazione ed evaporazione, trattamento delle acque dei tetti, pozzi asciutti, tubi drenanti, vasche verdi filtranti, tetti verdi, vasche di raccolta e riutilizzo, trattamento delle acque delle strade e dei parcheggi, pavimentazioni drenanti e permeabili, canali inerbiti, trattamento delle acque dalle zone urbanizzate in genere, bacini di infiltrazione e infiltration planters, canali infiltranti, sistemi vegetati di fitodepurazione, sistemi di invaso sotterraneo.

Queste linee guida, alle quali si rimanda per eventuali approfondimenti il sito del Comune reggiano, sono molto interessanti perché comprendono sostanzialmente tutte le casistiche che possono riguardare la gestione delle acque in città, tema quanto mai attuale come abbiamo visto in rapporto alle esigenze da un lato di recuperare quanta più risorsa idrica possibile e da un altro di garantire che la risorsa idrica recuperata sia riutilizzabile per usi civili, agricoli, industriali, senza contenere sostanze inquinanti, dannose e patogene per l’uomo e per l’ambiente.

di Federico Della Puppa

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