L’architettura è un progetto d’ombra: l’importanza dell’illuminazione naturale

L’ombra non è assenza di luce. L’assenza di luce è il buio, mentre l’ombra è assenza di radiazione diretta in un mondo pienamente illuminato. Parlando degli architetti Louis Kahn scriveva: «La nostra è un opera d’ombra», ricordando come gli oggetti fisici rendano percepibile la luce, perché questa resta invisibile fino a quando non colpisce un oggetto che, illuminandosi, la rende manifesta. E così, proprio parlando del sole, sempre Kahn diceva che «il sole non conosceva la propria grandezza fino a quando non incontrò il fianco di un edificio».

Il progetto di architettura, dunque, principalmente ha a che fare con la luce, la visione, la radiazione solare e governa il modo in cui questa interagisce con gli edifici. Eppure, ancora oggi si trovano progetti in cui manca l’indicazione dell’orientamento, come se in un progetto invertire il Nord con il Sud non risultasse significativo per il suo funzionamento e la sua percezione.

Desta, poi, una certa perplessità vedere edifici con facciate perfettamente equivalenti nei diversi orientamenti cardinali e del tutto indifferenti al movimento del sole e alle variazioni della luce. Non mi riferisco ai soli problemi energetici legati all’orientamento che producono potenziali rischi di sovrariscaldamento estivo, ma anche alla percezione dell’edificio in termini visivi.

Un edificio con facciate equivalenti si comporterà e si percepirà in maniera diversa. Scattando una fotografia controluce ci si rende perfettamente conto di quanto sia difficile per il nostro sistema visivo-percettivo adattarsi a queste condizioni di luce e quanto risulti complesso percepire i dettagli della scena in queste condizioni rispetto alla medesima situazione con una illuminazione laterale.

Nella formazione degli architetti il tema dell’illuminazione è ormai poco sperimentato e i pochi corsi che trattano di luce all’interno del percorso accademico sono principalmente orientati allo studio dell’illuminazione artificiale degli ambienti, mentre il modo un cui l’edificio si relaziona alla luce naturale è dato, a mio avviso in maniera sbagliata, quasi per scontato.

Forse si è fatto troppo affidamento alla possibilità di restituire con facilità immagini fotorealistiche del progetto che danno l’impressione di poterne anticipare la percezione, immagini che fissano artificiosamente una singola vista tra le tante possibili in continua evoluzione, come se la percezione dello spazio fosse equivalente alla visione di un quadro in un museo. Ma la percezione di un paesaggio muta così radicalmente durante la giornata e attraverso le stagioni, che forse dovremmo riconsiderare i nostri modi di rappresentazione.

Se anche considerassimo il tema luce-ombra-radiazione unicamente dal punto di vista energetico potremmo scoprire che variare la dimensione della superficie vetrata in un edificio modifica i consumi energetici in maniera molto diversa a seconda dell’orientamento. Aumentare la superficie vetrata diminuisce infatti la richiesta di energia elettrica per l’illuminazione, ma aumenta le dispersioni in inverno e, quindi, i consumi per il riscaldamento. Per quanto riguarda la variazione dei guadagni solari questa è dipende fortemente dall’orientamento e dalle ostruzioni all’intorno e può essere negativa in una stagione e positiva nell’altra (o negativa in entrambe), mentre la possibilità di ventilare gli ambienti riesce a compensare solo in parte i problemi termici estivi.

Alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso un gruppo di ricercatori inglesi preparò per un concorso di architettura per studenti un set di interessanti curve denominate LT (Lighting and Thermal). Queste curve, diverse per le differenti zone d’Europa, avevano l’obiettivo di indicare la percentuale ottimale di trasparenza delle facciate nei diversi orientamenti per minimizzare i consumi energetici complessivi. Pur trattandosi di grafici molto semplificati preparati per il concorso, le curve riportavano come nel sud Europa la trasparenza nell’orientamento Sud dovrebbe indicativamente avere valori compresi tra il 40% e il 70%, mentre a Nord, Est e Ovest sarebbe meglio non superare valori compresi tra il 20% e il 30%, per non parlare della superficie orizzontale dove la porzione trasparente non dovrebbe eccedere il 10% del totale.

Si tratta di indicazioni di larga massima che in realtà nascondono calcoli complessi che considerano l’importanza delle schermature delle aperture per permettere di avere luce all’interno limitando il rischio del sovraccarico termico negli ambienti, cambiano in relazione alla compattezza degli edifici. La valutazione tramite le curve LT si riferisce ai parametri geometrici dell’edificio senza considerare le specifiche soluzioni tecniche d’involucro. Questo potrebbe sembrare inadeguato in un mondo che fa grande affidamento sulla tecnologia per la soluzione dei problemi, ma in realtà è quanto mai opportuna. La tecnologia può certamente migliorare un edificio mal concepito dal punto di vista progettuale, ma non potrà mai farlo funzionare correttamente.

Riprendendo le indicazioni che vengono dallo studio possiamo in sintesi dire che: è opportuno avere aperture maggiori verso Sud (in maniera maggiore al Nord, che al Sud del Paese), aperture minime verso Ovest ed Est, quasi assenti in copertura, determinate dai soli bisogni di illuminazione, aperture verso Nord determinate dai bisogni di illuminazione e di ventilazione estiva, quindi di dimensioni. E tutte, Nord escluso, con efficaci sistemi di schermatura dalla radiazione diretta. Senza schermature adeguate le aperture verso il sole produrrebbero, infatti, condizioni del tutto inaccettabili negli ambienti interni.

L’invito ai progettisti è quindi quello di ricordare che l’architettura è un progetto d’ombra, con le sue peculiarità termiche di mitigazione della calura e la sua capacità di fornire una adeguata percezione della profondità e della tridimensionalità degli edifici. Non è un caso che l’invito che rivolgiamo continuamente agli studenti e ai progettisti sia di pensare prima ai problemi estivi e poi a quelli invernali, prima agli ambienti aperti e poi a quelli confinati. I progetti di case passive per il Nord Europa, infatti, si adattano poco al clima e alla realtà mediterranea che, molto spesso, è un gioco di ombre.

di Alessandro Rogora, Politecnico di Milano (da YouBuild n. 25)

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