Rischio idrogeologico: tanti indennizzi, poca prevenzione

«Chiare fresche, dolci acque». Francesco Petrarca vide con l’occhio del poeta quel che noi con fatica, e senza il refrigerio della bellezza, andiamo cercando con gli occhi distaccati della logica: punti di vista opposti che, tuttavia, nella nuova visione ambientalistica del pianeta, tendono a ricongiungersi. Ed è proprio in questa visione d’assieme che tentiamo una breve sintesi delle varie problematiche che si muovono attorno al rischio idrogeologico, così severo nel nostro Paese per la particolare orografia del suolo.

Sul rischio idrogeologico lo Stato prima interveniva con aiuti ai Comuni colpiti da alluvioni e solo in un secondo tempo si sono affermati gli indennizzi ai danneggiati. In epoca più recente sono stati censiti i siti a rischio idrogeologico ed è stata impostata una cultura della prevenzione attraverso studi e progetti pubblici e privati, con interventi di prevenzione e protezione a livello locale che, tuttavia, non sono approdati ad una politica organica per la mitigazione questo rischio.

I Governi Renzi-Gentiloni impostarono un primo progetto in materia tramite l’Agenzia Italia Sicura presso il ministero dell’Ambiente, che presentò significativi studi e inventari dei rischi, soprattutto sulla difesa del suolo, ma per la caduta della legislatura, tale attività è stata interrotta. Il successivo Governo giallo-verde non ha proseguito su tale linea, ma il nuovo ministro dell’Ambiente di Sergio Costa ha cambiato linea: non più solo difesa del suolo, ma una ricognizione a tutto campo delle componenti di rischio idrogeologico, che sono molteplici.

Tale nuova filosofia ha continuato nel secondo Governo Conte, assumendo la veste di un disegno di legge governativo, attualmente ancora al vaglio del Parlamento. I finanziamenti nel tempo predisposti da vari governi sono stati molti, ma sono stati spesi prevalentemente per pagare gli indennizzi post-alluvioni: per la prevenzione del rischio idrogeologico sono stati destinati lo scorso anno 362 milioni destinati ai Comuni su un totale di oltre 22 miliardi destinati nel tempo a tale obiettivo. Questo all’incirca lo stato dell’arte degli interventi pubblici per il contrasto al rischio idrogeologico.

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Danni causati dall’alluvione a Genova il 10 ottobre 2014

Rischio idrogeologico e danni ambientali: di chi è la competenza

Per i bacini, le dighe e più in generale, per il governo delle acque dolci nel territorio è competente a livello centrale il ministero delle Infrastrutture e, a livello locale, le autorità di bacino. Il ministero dell’Ambiente ha competenza per i rischi e i danni ambientali direttamente, dopo l’abolizione dell’Agenzia Italia Sicura. La presidenza del Consiglio dei Ministri, infine, resasi conto del groviglio di leggi e di finanziamenti in materia, nel febbraio 2019 ha istituito presso di sé una «cabina di regia» che avrebbe dovuto mettere ordine in questa materia, ma non risulta che ancora abbia iniziato a funzionare, onde il coordinamento delle competenze sulla cura del complessivo governo delle acque nel Paese non è stato attuato dall’inizio del ciclo (piccolo drenaggio delle acque meteoriche) al finale (acquedotti, quest’ultimi di recente vigilati da una nuova autorità, l’Arera) né, tantomeno, è stata impostata una politica del riciclo delle acque pluvie in eccedenza.

Questo costituisce un altro grosso problema operativo: in presenza di un auspicabile riordino legislativo non vi sarebbero adeguati mezzi operativi, per mancanza pregressa di domanda. Aises, unitamente a Finco, a ciò incoraggiata anche da Enea, che ha ben presente questa problematica, ha costituito da oltre due anni una Filiera Grandi Rischi, nella quale è stata esaminata questa materia: fra le varie categorie interessate (Aises, Assoverde, Fiper e Fias) rispettivamente per il drenaggio delle acque meteoriche, per il rimboschimento, per la ripulitura del sottobosco, per la difesa del suolo, constatando che non esistono, allo stato, le necessarie connessioni per mitigare il rischio idrogeologico in sequenza. Lavoro difficile, di lunga lena, che resta difficile portare avanti in assenza di domanda pubblica pregressa.

Le piccole canalizzazioni per convogliare le acque piovane sono la più antica di tutte queste attività, che si pratica da quando l’uomo da cacciatore e raccoglitore si è fatto agricoltore. Ma con l’abbandono della campagna e, più di recente, con l’uso dissennato del territorio cementificandolo, tale antica pratica è quasi scomparsa in Italia: solo l’8% dell’intera filiera degli interventi contro la media europea del 16%, quando il nostro Paese dovrebbe, per la natura orografica del suolo, drenare molto di più di tale media europea.

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Esondazione del Lago Maggiore dopo un forte evento meteorico

 

Il piccolo drenaggio delle acque piovane è il primo atto di prevenzione universale, che si abbina a qualsiasi altro progetto volto al contrasto del rischio idrogeologico di ben maggiore tecnicalità. Se il drenaggio non lo si pratica diuturnamente con cura e perseveranza, il terreno diviene impermeabile e le nuove piogge, particolarmente se repentine e abbondanti, anche per i mutamenti climatici, scivolano creando alluvioni: occorrono tanti piccoli e mirati interventi nel territorio, singolarmente di costo limitato, che nel tempo possono salvare molte vite umane.

Chi è Aises e cosa propone per combattere il rischio idrogeologico

Aises è l’associazione che rappresenta da oltre vent’anni gli industriali produttori e posatori delle dotazioni di sicurezza delle strade e del territorio (segnaletica, barriere, drenaggio delle acque meteoriche ecc.). A sua volta Aises è federata in Finco, che associa oltre 40 associazioni di categoria degli industriali di componentistica specialistica attorno alle costruzioni e alle infrastrutture. L’intero raggruppamento rappresenta 13 mila imprese, 120 mila dipendenti e costituisce la compagine industriale che associa il maggior concentramento di imprese specialistiche e superspecialistiche nel settore dei lavori pubblici.

In questo contesto che cosa si propone Aises per combattere il rischio idrogeologico?

1) di promuovere il piccolo drenaggio delle acque meteoriche, facendo sì che venga inserito in tutti i piani pubblici di prevenzione in aree demaniali e sulla rete stradale (pericolo di aquaplaning) e concessione di un bonus per il piccolo drenaggio, del pari a quanto già fatto per eco e sisma bonus, destinato ai privati (v. emendamento all’art. 119 del DL Rilancio in corso diconversione a firma dell’onorevole Emanuele Cestari);

2) richiedere, con forza, che la legislazione già impostata venga portata a buon fine (Ddl governativo Costa) e che la Cabina di Regia presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri inizi a funzionare rendendo più facile l’accesso ai cospicui finanziamenti in materia agli enti locali;

3) sarà, contemporaneamente, cura di noi imprenditori pianificare in via verticale la Filiera delle attività di contrasto al rischio idrogeologico, impostandone il ciclo e il riciclo delle acque meteoriche;

4) infine, ma non di ultimo, gli interventi dello Stato dovranno prevedere, oltre agli interventi tradizionali sugli enti locali già previsti, anche una forte incentivazione sui proprietari privati con un bonus sul drenaggio delle acque meteoriche colmando una grave lacuna legislativa (il 90% dei territori soggetti a questo rischio sono di proprietà privata) intrecciando tali interventi tra di loro in una politica comune.

 

di Gabriella Gherardi, presidente Aises (da YouBuild n.18)

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