Le potenzialità della facciata ventilata
come risposta al cambiamento climatico

Nel 2008 l’editore Einaudi ha pubblicato un libro di Sebastiano Vassalli intitolato «Dio il Diavolo e la Mosca nel grande caldo dei prossimi mille anni». Non è un romanzo, ma una serie di storie brevi correlate tra loro e caratterizzate dal filo conduttore della stupidità umana. Si tratta di un ulteriore tassello, già parzialmente affrontato in modo più creativo nel romanzo 2013, della spietata analisi della contemporaneità. Il libro è profetico nel descrivere la decadenza del mondo contemporaneo dovuta all’eccesso di progresso voluto, e non controllato, dall’uomo.

L’ecosistema è a un passo dal tracollo, la temperatura continua a crescere, i ghiacciai si sciolgono, le precipitazioni atmosferiche devastano le coste e provocano rovinose esondazioni dei fiumi, la desertificazione aumenta progressivamente a causa delle siccità (il World Atlas of Desertification stima in circa il 75% le aree del pianeta già compromesse) con conseguenze sull’intensificazione dei flussi migratori dai Paesi poveri verso i paesi più ricchi. Vassalli, attraverso le vite e le azioni dei protagonisti dei suoi racconti, descrive l’assurdità del vivere contemporaneo come ineludibile deriva del progresso. Nessuna ideologia, nessuna politica, nessuna religione, sostiene, è in grado di interrompere o rallentare il processo di autodistruzione del pianeta.

Qualche anno più tardi un altro importante scrittore contemporaneo, Jonathan Franzen, ha dato alle stampe un pamphlet intitolato «E se smettessimo di fingere?». Ammettiamo che non possiamo più fermare la catastrofe climatica, che ha destato notevole interesse e conseguenti polemiche per le sue tesi. Franzen sostiene che la sfida climatica è già sostanzialmente persa, che si è superato il punto del non ritorno e che quindi l’unica possibilità è costruire e mettere in atto strategie di resilienza che possano tentare di ridurre il riscaldamento globale e le conseguenze che ne derivano. Con un approccio molto pragmatico prende le distanze sia dall’atteggiamento degli scettici, increduli delle reali portate del cambiamento climatico sia dai negazionisti sia dagli ottimisti che sperano con programmi e scelte rigorose, peraltro fino a ora fallite, di invertire la tendenza. Lo scrittore americano suggerisce altresì che l’unica possibilità è ripensare il significato della parola speranza, con sincerità, mettendo in campo un impegno personale e una partecipazione attiva continua in affiancamento alle istituzioni e alla politica. Non trascurando alcuni passaggi sui danni che può generare il capitalismo verde in sostituzione di quello tradizionale.

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I ragionamenti che sostanziano i due autori, da alcuni ritenute eccessivi e pessimisti, hanno però il pregio di avere colto il problema nella sua essenza: siamo davvero in grado di attuare una trasformazione radicale della natura umana? E di modificare strutturalmente le condizioni di funzionamento delle città contemporanee per attenuare e controllare le ricadute del cambiamento climatico in corso? Molte sono le azioni che a partire del 1988, anno di creazione del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, sono state messe in atto a livello internazionale: accordi, protocolli, direttive, convenzioni, forse troppo miti e soprattutto a carattere volontario per essere davvero incisive oltreché osteggiate da alcuni Stati.

La ricerca scientifica e le sperimentazioni tecnologiche hanno indubbiamente fatto notevoli avanzamenti raggiungendo efficienza energetica e livelli prestazionali sempre più elevati con sofisticazioni e perfezionamenti continui, traguardando continuamente obiettivi nuovi. Perseguendo però un approccio orientato alla maggiore efficienza possibile, sovradimensionando e di conseguenza sprecando risorse inutilmente, indipendentemente dal fabbisogno reale. Tale atteggiamento si è notevolmente diffuso e potenziato in epoca recente con le opere finanziate nell’ambito dei diversi sistemi di incentivi, come i vari bonus, contesto nel quale gli sprechi e il sovradimensionamento rispetto ai bisogni veri è stato la regola, tanto da essersi attorcigliato su sé stesso fino ad arrivare all’impasse.

Quello che serve è un cambiamento di approccio culturale, che si può attuare solo a condizione di puntare alla sufficienza energetica con alcune scelte razionali che implicano il dimensionamento corretto degli spazi nella fase di progettazione. La ricerca di case sempre più grandi non ha senso, così come la scelta delle tecnologie costruttive e dei materiali utilizzati per l’involucro e le strutture deve essere fatta non solo ai fini prestazionali ed estetici, ma anche in relazione all’intero ciclo di vita dei manufatti. Anche il corretto e misurato dimensionamento delle apparecchiature per il riscaldamento, raffrescamento e produzione di acqua calda deve rispondere a razionalità e ragionevolezza. In generale, credo che Franzen abbia ragione, per una reale inversione di tendenza non si può prescindere da un cosciente e concreto contributo dei singoli individui.

In questa logica il subsistema tecnologico della facciata ventilata, sistema sostanzialmente semplice che coniuga l’isolamento termico a cappotto ai vantaggi dall’effetto camino che si ottiene grazie alla circolazione dell’aria compresa tra l’isolamento e il paramento esterno, rappresenta indubbiamente una soluzione naturale facilmente replicabile, in grado di rispondere in modo ragionevole alle reali esigenze. Con notevoli vantaggi sia dal punto di vista delle prestazioni controllabili che della messa in opera e delle manutenzioni durante il ciclo di vita.

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Purtroppo, fino ad oggi il sistema è stato prevalentemente utilizzato per il paramento di edifici terziari o, più recentemente, per la riqualificazione di edifici pluriresidenziali di grandi dimensioni, non sfruttando a fondo le sue potenzialità in particolare per gli interventi di retrofit del costruito che, in termini dimensionali, rappresenta la maggioranza degli interventi in atto e che si renderanno necessari nei prossimi anni, anche in ragione delle possibili politiche edilizie europee e nazionali.

di Matteo Gambaro, Politecnico di Milano (da Youbuild n. 27)

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