I sorprendenti trend dell’innovazione in edilizia: nuovi materiali, soluzioni inedite, tanta tecnologia

C’era una volta un trio di porcellini. Erano tre fratelli che abitavano insieme ma, a causa della pandemia di covid, decisero di andare in tre case separate. Il primo, per risparmiare, scelse un condominio costruito con paglia. Il secondo, con qualche euro in più, optò invece per una casetta in legno. Il terzo, infine, decise di approfittare dei superbonus per coibentare una palazzina in mattoni, dove si sistemò. E come andò a finire, quando una sera, approfittando del lockdown che aveva svuotato le strade, arrivò il lupo?

Niente paura: se la cavarono tutti e tre. Perché le nuove case composte da materiali ecosostenibili o tradizionali erano tutte accumunate dal fattore «I», la lettera della parola innovazione, che cambia il modo di progettare e costruire. La casa di paglia era certificata Leed e dotata di sistemi di sorveglianza elettronici inespugnabili. La casa di legno si rivelò più solida di un bunker di cemento armato. E quella in mattoni talmente confortevole, grazie a cappotto e ventilazione meccanica controllata, che il lupo decise di accendere un mutuo per farsene una uguale.

Tecnologie, materiali, sistemi costruttivi: tutto cambia, tutto evolve, tutto si adatta alle nuove esigenze dell’abitare. Perché, naturalmente, l’innovazione non è fine a se stessa, ma segue le richieste del mercato, che possono essere semplici mode, cambiamenti dello stile di vita e, con il decisivo input della pandemia, anche del modo di lavorare.

Innovazione e architettura: dal Partenone al Bosco Verticale

Ma che cosa si intende per innovazione? È un concetto davvero applicabile alla progettazione e, di conseguenza, all’edilizia? Dipende. Non esiste, in effetti, un solo modo di introdurre novità, miglioramenti e semplici upgrade. Nella realtà dell’economia l’innovazione si riproduce in modi molto diversi. Ma per quanto riguarda la progettazione è, forse, elevata ad arte.

I grandi architetti, da Callicrate ad Alvar Aalto, da Bernini a Le Corbusier, da Giuseppe Piermarini a Frank Lloyd Wright: di innovatori è piena la storia dell’architettura. E, per fortuna, la creatività non si è esaurita. Anzi, grazie alle nuove tecniche costruttive torna a fiorire in modo inaspettato. Fiorire nel senso pieno del termine, visto il successo di una costruzione come il Bosco Verticale di Stefano Boeri, modello replicato e copiato in tutto il mondo come un’icona del nostro tempo. E che è una specie di manifesto dell’innovazione, del nuovo modo di abitare e delle soluzioni che offre l’edilizia 4.0. Ma non c’è solo quello.

Bosco verticale a Milano
Bosco verticale a Milano

L’innovazione assume anche forme meno appariscenti, ma che promettono di rivelarsi di grande impatto. Per esempio, l’accesso a un’efficienza energetica fino a ieri impensabile. Intendiamoci, non è facile, perché non bisogna confondere l’attività di ricerca con il processo di innovazione.

Come distingue Alfonso Fuggetta, amministratore delegato e direttore scientifico del Cefriel, spin-off misto pubblico-privato nato da una costola del Politecnico di Milano: «I processi di innovazione sono diversi da quelli di ricerca. Hanno tempi, dinamiche e soprattutto obiettivi, fattori e criteri di successo differenti. Se la ricerca mira principalmente a creare conoscenza, l’innovazione ha come primo parametro di successo l’impatto sulla società e l’economia. È dannoso e controproducente confondere i due temi, perché porta a definire politiche e strumenti di intervento inefficaci. Né ha senso immaginare che si possano creare velocemente e per decreto centri di eccellenza e campioni nazionali. Il problema che abbiamo nel nostro Paese non è quello di creare nuove strutture (offerta) che, partendo da zero, si pongano l’obiettivo confuso e generico di fare innovazione o di essere centri di ricerca per le imprese».

Case come nuovi produttori di energia

Detto, questo, esempi di innovazione nel contesto della progettazione e dell’edilizia ci sono già. Secondo le previsioni dell’Enel, per esempio, la batteria sarà presto un nuovo indispensabile elettrodomestico. E tra poco tempo: entro una decina di anni, prevedono gli esperti, in cantina si troveranno già 1 milione di accumulatori, per una potenza totale di 4 mila megawatt. Ma a che cosa serve una batteria in casa, visto che la corrente elettrica, fino a prova contraria, non manca? Semplice: le batterie serviranno per immagazzinare l’energia elettrica autoprodotta con l’impianto fotovoltaico sul tetto, che sarà sempre più diffuso. Un sistema che è già utilizzato, ma al momento in proporzione omeopatica.

Le piattaforme, gestite da operatori come EnelX o Eni gas e luce (per citare i due player più grandi) sono già pronte ad assorbire l’energia prodotta per re-immetterla nella rete nazionale. Ma, prevedono sempre gli esperti, chi possiede un’abitazione o, più propriamente, gestisce un edificio, potrà entrare nel mercato dei servizi di dispacciamento, cioè l’attività che impartisce disposizioni per l’esercizio coordinato tra gli impianti di produzione e la rete di trasmissione dell’energia elettrica. Insomma, gli edifici potranno diventare «macchine che producono energia». Un grande condominio, per esempio, può equivalere a una piccola centrale.

Tra l’altro, oltre a essere un’opportunità, la produzione di energia da parte delle abitazioni potrebbe diventare una necessità. Secondo le previsioni, entro il 2040 i consumi elettrici saliranno di altri 60-70 terawattora, a fronte di un’ulteriore riduzione del fabbisogno complessivo di energia a 1.100 terawattora. E gli edifici sono responsabili del 40% dei consumi di energia nella Ue, oltre che del 36% delle emissioni di CO2. Ovvio, quindi, che edifici che producono energia o diventano autosufficienti possono essere una chiave necessaria per aprire la porta della transizione a energia più pulita.

Gli scenari previsti dagli operatori, infatti, indicano entro il 2030 una riduzione dei consumi grazie alle nuove tecnologie. E la sostituzione tra combustibili fossili ed energia elettrica farà calare il fabbisogno generale da 1.330 a 1.206 terawattora. Di questi circa il 25% sono consumi di corrente, pari a circa 300 terawattora, la cui percentuale resterà invariata in una prima fase. Un orizzonte lontano? No, Terna, l’azienda che provvede alla distribuzione di corrente, sta già lavorando con un operatore esperto di domotica per far partecipare anche aggregati di scaldabagni alle aste sulla bassa tensione per i servizi di dispacciamento. Insomma, scaldabagni che distribuiscono elettricità, una delle facce più sorprendenti dell’innovazione.

Nuovi materiali innovativi…

C’è, poi, tutto il capitolo innovazione legato ai materiali. La necessità di risparmiare energia, per esempio, ha scatenato imprese grandi e piccole alla ricerca (e alla proposta) di soluzioni per isolare in modo efficiente gli edifici, complici anche i vari bonus fiscali. Ne sono un esempio le tante piccole aziende che hanno partecipato al recente Klimahouse. Materiali e metodi costruttivi che oggi sono in grado di aprire nuovi inediti scenari. Un esempio: le superfici vetrate che funzionano anche come pannelli solari non sono una novità. Ma hanno avuto poca fortuna a causa della scarsa efficienza.

Le nanoparticelle per realizzare vetri fotoelettrici

 

Ora, però, potrebbero arrivare i concentratori solari luminescenti (Lsc). Sono vetrate colorate e semitrasparenti, che sulla superficie hanno pigmenti che ricevono la luce solare e la riverberano sulle celle fotovoltaiche distribuite lungo il bordo. Al momento la tecnologia è in fase sperimentale, promossa da Alberto Vomiero, docente all’Università Ca’ Foscari Venezia e dalla svedese Luleå Tekniska Universitet. Le prove hanno ottenuto un record di efficienza usando come pigmenti nanoparticelle di carbonio, i carbon dot, e sviluppando un metodo per produrre in quantità queste particelle di dimensione inferiore al milionesimo di millimetro. L’efficienza e il metodo produttivo dei carbon dot rendono ora queste nanoparticelle luminescenti di grande interesse per l’industria del settore.

… e il legno diventa trasparente

Ancora: il legno che diventa trasparente, simile al vetro, ma più resistente, leggero e isolante. E che può essere utilizzato per superfici che facciano passare la luce. La scoperta è dei ricercatori dell’Università del Maryland, che hanno diviso le sostanze-base con cui è composto il legno: la cellulosa e la lignina, una struttura polimerica che in tutti i vegetali ha la funzione di legare e cementare tra loro le fibre per conferire ed esaltare la compattezza e la resistenza della pianta. La lignina contiene anche molecole chiamate cromofori che danno al legno il caratteristico colore marrone e impediscono il passaggio della luce.

Dopo vari tentativi, i ricercatori hanno spennellato una soluzione di perossido di idrogeno al 30%, su assi di legno lunghe un metro e spesse 1 millimetro. Lasciato al sole, o sotto una lampada UV per circa un’ora, il perossido ha sbiancato i cromofori marroni mantenendo intatta la lignina, rendendo il legno bianco. A questo punto, le assi sono state immerse per cinque ore in etanolo, poi è stato usato il toluene e, infine, applicata una resina epossidica trasparente e resistente per riempire gli spazi e i pori del legno per poi indurirsi. Risultato: legno trasparente.

Home automation

Non bisogna dimenticare, infine, che l’innovazione tocca anche gli interni di un edificio. Compresa tutta quella infinita serie di soluzione che va sotto il nome di home automation, un tempo chiamata semplicemente domotica. Un processo che è sempre più pervasivo ed è passato dai piccoli dispositivi in grado di regolare luci, temperatura e gestione della porta di casa, a sistemi sempre più integrati e complessi.

Un esempio di innovazione anche in questo ambito è rappresentato dall’accordo tra Amazon Alexa e Bticino con Scavolini per un sistema d’arredo con elementi colorati che strutturano le finiture delle ante di una cucina molto minimal, studiata dal designer Fabio Novembre. In questo caso il design si unisce con la tecnologia dell’impianto elettrico e con l’assistente vocale dell’indistria hi-tech. In fondo, niente di nuovo se presi singolarmente. Perché non occorre sempre inventare qualcosa: è innovazione anche saper combinare in modo inedito tecnologie che sono già disponibili. Insomma, non c’è niente di più sorprendente di quello che credete di conoscere.

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