Lago Maggiore: una villa a zero consumi per combattere il cambiamento climatico

Da un paio di decenni siamo entrati in una nuova epoca geologica, quella denominata Antropocene. È l’epoca dell’essere umano, caratterizzata da forti impatti causati dalle sue attività sul pianeta Terra, con particolare riferimento all’aumento delle concentrazioni di gas ad effetto serra nell’atmosfera, come il diossido di carbonio e il metano. La comunità scientifica è praticamente unanime nel considerare che le attività dell’uomo provochino un cambiamento climatico, ma non sembra ancora esserci unanimità sulle misure da intraprendere per migliorare la devastante situazione. A livello mondiale, i dibattiti sono assai accesi e non risparmiano nessuno stato. Nonostante vi siano accordi internazionali presi da molte nazioni, una gran parte di loro non li rispettano.

Cambiamento climatico e decarbonizzazione

Nel settore economico capita sempre più spesso di parlare concretamente di «decarbonizzazione». Sono un esempio le multinazionali del petrolio e dei carburanti le quali puntano in grande stile sulle energie rinnovabili. Total investe miliardi nell’acquisizione di aziende di approvvigionamento energetico e produttori di batterie, Bp mira a diventare uno dei maggiori produttori di elettricità ecologica. Il Ceo di Shell, Ben van Beurden, ha dichiarato che «se la società vuole prodotti energetici diversi, noi come impresa dobbiamo adattarci». Nel caso queste società non reagissero, in Borsa lo scetticismo nei confronti delle multinazionali petrolifere porterebbe a una caduta ulteriore dei loro titoli, peraltro già ai minimi. Tutt’altra sorte tocca alle aziende specializzate nel fracking, una tecnica inquinante e costosa utilizzata negli Usa per estrarre il petrolio e il gas naturale. Tante di queste società sono fallite o si sono convertite alle energie rinnovabili, come ha fatto lo Stato del Texas, oggi noto per le pale eoliche e i pannelli solari.

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Foto di drpepperscott230 da Pixabay

 

Studi scientifici hanno stabilito la chiave di riparto tra i vari settori di attività umane che provocano gli impatti maggiori sull’ambiente. Tra questi studi vi è la Società a 2000 Watt, un modello politico-energetico che è stato sviluppato nell’ambito del programma Novatlantis nel Politecnico Federale di Zurigo. Il modello di consumo energetico sostenibile mira a ridurre di due terzi l’utilizzo di energia primaria non rinnovabile e di sette ottavi le emissioni annue di gas serra. L’obiettivo di una Società a 2000 Watt deve essere raggiunto migliorando l’efficienza energetica, diminuendo il consumo globale di energia, sostituendo le fonti fossili con quelle rinnovabili, basandosi su un moderno stile di vita che integra soluzioni tecniche, concetti di gestione e tecnologie innovativi.

Il ruolo delle costruzioni per l’efficienza energetica

Gli edifici, che provocano nei Paesi occidentali praticamente la metà del consumo di energia e più del 50% del consumo di risorse, hanno perciò un ruolo considerevole. Il contributo di questo settore, che può essere descritto con i principi dei modelli sopra elencati, consiste nell’esecuzione di stabili con un involucro termico prestante per minimizzare le perdite di calore per trasmissione e nella copertura dei ridotti fabbisogni energetici per mezzo di energie rinnovabili con migliori risultati se prodotte in loco. Ma per concretizzare una buona architettura è necessario realizzare progetti che promuovano qualitativamente l’integrazione delle soluzioni di efficienza energetica e di energie rinnovabili, le quali dimostrino che è possibile coniugare esigenze di  sostenibilità con esigenze estetiche.

Standard Minergie A Eco

Da anni in tutta Europa e non solo, sorgono realizzazioni che applicano i principi della sostenibilità. A scala di edificio l’obiettivo deve perciò essere la costruzione di stabili a energia zero (o Zero Energy Building, Zeb). Nella mia attività professionale prediligo stabilire come traguardo il risanamento del patrimonio costruito con standard energetici quali Minergie A Eco, che corrisponde allo Zeb unito alla bioarchitettura, ovvero un edificio a energia zero, ma che sia realizzato con materiali che non esalino sostanze nocive per gli occupanti, per esempio quelle provocate da formaldeide, da biocidi o dal gas radon.

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Villa Lago Maggiore – Vista interna – Foto: ©Lukas Murer

 

Quanto sopra è stato concretizzato in un risanamento energetico nel 2018 con standard Minergie A Eco di una casa unifamiliare che si affaccia sul Lago Maggiore. Questa costruzione è un tipico esempio di stabili realizzati nel corso degli anni Cinquanta-Sessanta con una scarsa efficienza energetica, visibile nell’immagine relativa allo stato iniziale con classe globale G. I lavori hanno migliorato notevolmente la classe portando lo stabile ad una classe globale A.

Gli interventi apportati hanno permesso di migliorare anche il comfort, eliminando i tipici problemi di stabili di quell’epoca mostrati con le immagini in queste pagine. Il risultato finale è mostrato nella foto dove è visibile l’impianto fotovoltaico che copre il fabbisogno annuo di elettricità per l’intero stabile, e in quella dove è visibile l’integrazione di design moderno ad un’architettura più tradizionale.

Architettura sostenibile a scala urbana

Di maggiore impatto è l’architettura sostenibile a scala urbana, poiché permette di conseguire obiettivi che a scala di edificio sarebbero difficilmente raggiungibili. Il quartiere si trova a una scala intermedia tra edificio e città e permette la sperimentazione di interventi che implementino la qualità di vita dell’ambiente urbano.  Tra i progetti esemplari a scala urbana possono essere annoverati i quartieri faro della ex Caserma De Bonne a Grenoble e di Hammarby Sjøstad a Stoccolma. Alla lista dei quartieri sostenibili se ne sono aggiunti molti, spesso su iniziativa volontaria, ed ultimamente anche sostenuti dagli enti pubblici i quali promuovo la concretizzazione di edifici o quartieri sostenibili per mezzo di specifici incentivi.

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Quartiere Hammarby Sjöstad – Foto: ©Fabege
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Quartiere Bonne a Grenoble – Foto: ©Massimo Mobiglia

Cambiamento climatico: città killer con i colpi di calore

Il contesto urbano e sociale può colpire i singoli individui in coincidenza con le ondate di calore. Un’analisi della letteratura scientifica condotta da Cmcc@Ca’Foscari, centro di ricerche dell’università veneta sui cambiamenti climatici, è arrivata alla conclusione che nel corso dell’ultimo mezzo secolo la probabilità del verificarsi di ondate di calore è cambiata in ogni parte del mondo, crescendo fino a cento volte rispetto a un secolo fa.  Le ondate di calore rappresentano oggi la principale causa di mortalità legata agli eventi estremi e continueranno ad esserlo nei prossimi anni, nel contesto di un clima in riscaldamento.

Secondo l’analisi, nelle aree urbane, il fenomeno dell’isola di calore porta a temperature più elevate di quelle delle aree non edificate, e questo si sa. Ma, poiché le città sono altamente eterogenee al loro interno, sia in termini di contesto fisico urbano sia in relazione alle caratteristiche degli abitanti, non tutte le aree urbane sono ugualmente vulnerabili alle ondate di calore. Diventa fondamentale, quindi, identificare quelle più a rischio di stress da calore per poter attuare interventi mirati a livello locale, destinati a migliorare la capacità di affrontare l’impatto delle ondate di calore sulla salute dei cittadini.

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Foto di Tumisu da Pixabay

 

L’articolo «The heat-health nexus in the urban context: A systematic literature review exploring the socio-economic vulnerabilities and built environment characteristics», pubblicato sulla rivista Urban Climate e condotto dalla Fondazione Cmcc in collaborazione con l’Università Ca’Foscari Venezia, ha analizzato la letteratura scientifica esistente sul tema per identificare quali siano i fattori fondamentali nella relazione tra calore e salute in un contesto di ambiente urbano costruito. L’analisi ha selezionato quaranta articoli dalla vasta letteratura sul tema, estratti da due note banche dati della letteratura scientifica (Scopus e PubMed).

«È stato centrale nella nostra ricerca considerare ambiti interdisciplinari che poco frequentemente convivono insieme all’interno di queste tipologie di analisi», spiega Marta Ellena, ricercatrice Cmcc e prima autrice dello studio. «Esistono in letteratura molti studi che indagano le caratteristiche in grado di influenzare la vulnerabilità degli individui allo stress da calore: dalle condizioni di salute fisica e mentale alle caratteristiche demografiche, fino allo status economico e sociale. In questa analisi abbiamo incluso tra queste anche le caratteristiche dell’ambiente costruito, perché la causalità temperatura-mortalità non si manifesta in un vuoto territoriale, bensì in uno specifico tessuto urbano e nell’interazione di processi naturali, fisici e socioeconomici».

Attraverso il concetto di enhanced exposure (esposizione rinforzata), lo studio rileva come diversi aspetti dell’ambiente fisico possano aggravare (o mitigare) gli impatti dei cambiamenti climatici in aree cittadine diverse, anche all’interno della medesima città.

«L’esposizione della popolazione è sicuramente legata all’esposizione fisica del quartiere al calore: lo spazio costruito all’interno dell’area urbana incamera energia solare durante la giornata e la rilascia nel corso della notte, facendo sì che le aree cittadine si riscaldino e restino calde molto più delle aree verdi circostanti anche durante la notte, e lo facciano in misura più o meno grave in base alla loro forma e progettazione», aggiunge Margaretha Breil, urbanista e ricercatrice al Cmcc. «Ma non possiamo tenere conto solo dell’esposizione fisica: accanto a questo fenomeno, noto come isola di calore, ci sono altre condizioni che possono rendere un contesto più difficile da vivere, e persino più mortale». Come emerge dallo studio, sono le situazioni di svantaggio sociale ad aggravare maggiormente l’esposizione al rischio di calore.

 

di Massimo Mobiglia, Supsi e Politecnico di Milano (da YouBuild n.18)

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