100 orti a Milano: meno male che il progetto fa acqua

A Milano, a poche centinaia di metri dal naviglio Martesana e dal fiume Lambro, all’interno del masterplan di sviluppo del Parco Media Valle Lambro redatto da Francesco Borella, l’architetto e paesaggista Carlo Masera progetta cento orti e l’infrastruttura idraulica per il loro funzionamento, facendo corrispondere il sistema di irrigazione con la struttura morfologica che sostiene il disegno di questa parte di parco periurbano. «Insieme agli orti ho progettato le relazioni e lo sviluppo del parco intorno, cioè la sua morfologia, che nasce dal disegno degli elementi infrastrutturali principali: i percorsi, il sistema delle acque, il sistema a livello elementare del verde e quindi le superfici a prato, le superfici a bosco piuttosto che a fasce boscate o a fasce arbustive».

 

Orti abitati

L’occasione nasce dalla necessità di spostare un centinaio di orti urbani spontanei presenti già da 40 anni in una vicina area parzialmente contaminata. Così Masera posiziona i nuovi orti in modo strategico all’interno di questo avanzo di paesaggio agrario e mette in atto un processo di costruzione del parco per fasi successive, ordinate dalla disponibilità delle risorse, non tutte e subito, e dal coinvolgimento attivo e fattivo degli abitanti, non immediatamente capaci ed esperti. Insomma, un work in progress. La costruzione del parco avviene in parte attraverso un appalto tradizionale di gara tra imprese, per ciò che riguarda i movimenti di terra, l’infrastruttura idraulica e i grandi percorsi, in parte attraverso il metodo dell’autocostruzione praticata da volontari sotto la guida del Centro di Forestazione Urbana di Italia Nostra, per ciò che riguarda i capanni, gli orti, la messa a dimora delle essenze arboree e la realizzazione degli elementi di arredo di piccole dimensioni.

 

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L’occasione nasce dalla necessità di spostare all’interno del masterplan di sviluppo del Parco Media Valle Lambro redatto da Francesco Borella un centinaio di orti urbani spontanei presenti già da 40 anni in una vicina area parzialmente contaminata. Foto di Carlo Masera

 

La realizzazione del primo capanno per gli orti segna l’inizio della costruzione del parco, così come segna l’inizio della appropriazione del luogo da parte degli abitanti e il suo riconoscimento come bene collettivo. Il processo si ribalta rispetto a quella progettazione che produce luoghi fatti e finiti, che devono essere abitati. Propone, invece, atti dell’abitare che nel loro divenire costruiscono i luoghi. Il progetto attecchisce nel luogo attraverso la partecipazione attiva dei cittadini che, insieme a una microeconomia di autoproduzione legata al funzionamento degli orti e dei campi, porta a nuove forme di gestione e presidio del territorio e delle opere realizzate che sono garanzia della loro vita nel tempo.

 

Il racconto dell’acqua

Masera costruisce il parco riprendendo l’orditura del paesaggio agrario e dei suoi assi direttori facendoli diventare in parte percorsi e in parte canali, rogge o fontanili, a volte sopravvissuti solo a tratti o individuati dalle carte storiche, a volte scomparsi o ereditati e riconoscibili nella struttura stessa della città. Questo non per riproporre una falsa campagna, ma per appoggiare la forma del parco e del paesaggio agli elementi ancora tecnicamente funzionali alla sua esistenza e per cercare una corrispondente qualità estetica. Il progetto è rigoroso nella sua ricerca di obiettivi ecologici e ambientali, ma anche di fattibilità economica, sociale e tecnica ricomponendo le soluzioni nella forma, nella struttura e nella figura stessa del paesaggio.

 

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I bacini, i canali, le rogge, i fontanili, le chiuse, gli sfiori, i ponti canale e le cisterne segnano il disegno del parco, raccolgono e distribuiscono acqua di pioggia, acqua di falda e acqua proveniente da un canale del giardino pubblico collocato a monte, irrigando gli orti. Foto Carlo Masera

 

I bacini, i canali, le rogge, i fontanili, le chiuse, gli sfiori, i ponti canale e le cisterne segnano il disegno del parco, raccolgono e distribuiscono acqua di pioggia, acqua di falda e acqua proveniente da un canale del giardino pubblico collocato a monte, irrigando gli orti e creando ambienti umidi utili alla vita di gran parte delle presenze vegetali del parco. L’acqua al termine del suo percorso è ripompata dal lago Bergamella al Lago Tuono in funzione di un suo riutilizzo e risparmio, dando all’intero sistema idraulico del parco il carattere ambiguo di una fontana ad energia fotovoltaica in forma di un sistema di canali a caduta naturale.

 

Milano ibrida tra spazio urbano e agricolo

A monte del Lago Tuono, dove sfiora l’acqua di alimentazione che fuoriesce dal sottosuolo, si appoggia il disegno di un parterre che non è piazza, dato che non è circondato da un preciso perimetro di case, ma che invece allude proprio a uno spazio pubblico, come fosse su un lungolago. Spazio definito, invece che dai volumi di un fronte urbano continuo, dall’immagine di uno scomposto paesaggio di periferia, collage di case isolate, blocchi o palazzine e da un giardino pubblico di quartiere. Qui si sommano e si confondono le tipologie di spazi pubblici urbani insieme ai frammenti di campi agricoli ancora dediti a produrre microeconomie familiari. Qui si aprono spazi ancora indefiniti e vagamente metafisici, che attendono la crescita delle essenze arboree già messe a dimora. Qui la vista sugli orti urbani e sulle radure mostra questi grandi vuoti pieni come inediti di spazi pubblici metropolitani.

 

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Paesaggio ibrido, urbano e agricolo insieme

 

È qui, infine, dove si confonde il confine tra città e campagna, dove ci si apre a quella mescolanza ambigua tra morfologie di città e segni della campagna, che si possono sperimentare nuove ipotesi di spazio pubblico, in cui il parco e il paesaggio diventano occasioni di fondazione di un nuovo modo antico di abitare. È nelle aree metropolitane che il progetto di un paesaggio ibrido, urbano e agricolo insieme, può ribaltare quelli che erano i retri in fronti in modo che la periferia si riscatti, proponendosi alla città come un nuovo centro, ricca di opportunità e di dimensioni altrimenti impossibili.

 

Un progetto in movimento

Il progetto di Carlo Masera mostra più volte la capacità e la volontà di includere preesistenze di natura varia, anche a rischio di aderire alla banalità del quotidiano che invece sa ricomporre, ad altra scala e con altro senso, all’interno di un disegno di un inedito del paesaggio metropolitano. Così diventa impossibile per i cittadini sentirsi estranei ai luoghi del progetto perché coinvolti ancora prima del completamento. In realtà il progetto qui non può trovare una propria forma conclusa, ma può solo comprendere in se stesso il cambiamento come successione di stati di conclusioni provvisorie. Si mutua allora dal mondo vegetale una sorta di bellezza sempre diversa, mai arrivata al suo esito definitivo, una sequenza di percezioni di bellezze istantanee, una forma necessariamente non fissa e mai definitiva.

Il controllo, discreto e difficile da governare, di un progetto in movimento lascia ancora all’architetto del paesaggio lo spazio per lavorare sul segno, per suggerire il godimento di una veduta, per trasformare una presa d’acqua e un sistema di canali nel racconto del percorso del flusso, per strutturare il territorio in campi e pendenze e luoghi, tutti sostenuti da ragioni tecniche che ne legittimano l’esistenza, tutti misurati e geometricamente controllati per recuperare l’acqua e riutilizzarla. Così, nella ricerca della soluzione meno costosa, nell’utilizzo del materiale più duraturo, nella soluzione costruttiva praticabile da cittadini non esperti, il senso del racconto riesce a tenere ancora insieme un diffuso e felice senso di poesia.

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