Alla Biennale di Architettura di Venezia ho moderato l’evento “Il futuro del cemento e del calcestruzzo” organizzato da Buzzi, un dibattito dedicato all’innovazione, alla qualità e alla sostenibilità nell’industria del cemento e del calcestruzzo.
Dal materiale all’opera nel suo complesso
L’incontro ha messo in luce come ricerca, tecnologia e strategie sostenibili possano convergere per costruire opere più resilienti, efficienti e rispettose dell’ambiente, affrontando temi chiave quali nuovi standard tecnici, progettazione sostenibile, strategie Net-Zero e cattura del carbonio, nonché il ruolo delle tecnologie digitali nella progettazione e gestione delle costruzioni.
Particolare attenzione è stata riservata alle Prassi di Riferimento Uni 176 e Uni 11104, strumenti fondamentali per guidare progettisti e committenti nella scelta dei materiali e nella valutazione della durabilità e delle prestazioni delle opere.
La conferenza ha inoltre evidenziato come il calcestruzzo, tradizionalmente considerato solo come materiale da costruzione, stia evolvendo verso un approccio integrato che considera l’opera nel suo complesso, lungo l’intero ciclo di vita, ponendo la sostenibilità e la qualità al centro delle decisioni progettuali e produttive.
Tra gli interventi principali, Paolo Zelano (Ceo Buzzi Unicem e Presidente Unical) e Massimiliano Pescosolido (Segretario generale Atecap) hanno discusso della nuova PdR Calcestruzzi e dei criteri di scelta sostenibile, Luigi Buzzi (Direttore tecnico Buzzi) ha approfondito le strategie Net-Zero e la cattura della CO₂, mentre Marco Francini (Direttore tecnologico Unical) e Andrea Cassi (architetto Carlo Ratti Associati) hanno evidenziato il ruolo della tecnologia e della digitalizzazione nella progettazione delle costruzioni del futuro.
L’evento ha così offerto un quadro completo delle sfide e delle opportunità della filiera italiana del cemento, delineando una roadmap concreta verso un’edilizia più responsabile e innovativa.

La strada verso la decarbonizzazione
Il dibattito ha raccontato come il calcestruzzo sia il materiale principe delle costruzioni moderne, l’elemento silenzioso ma onnipresente che dà forma a grattacieli, ponti, infrastrutture e abitazioni.
Tuttavia, questa sua centralità porta con sé una sfida epocale: il settore del cemento e del calcestruzzo è ad alta emissione di CO₂, e per allinearsi alla strategia del Green Deal europeo e raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050, è necessaria una trasformazione radicale.
Le emissioni dirette nella produzione di cemento provengono principalmente da due fonti:
- emissioni da combustione, che derivano dall’uso di combustibili fossili per alimentare il processo a caldo e rappresentano circa un terzo del totale;
- emissioni di processo, che sono generate dalla reazione chimica di trasformazione delle materie prime. Queste emissioni sono definite “incomprimibili” per loro natura e costituiscono circa i due terzi del totale.
La strada verso la decarbonizzazione, quindi, non si basa su un’unica soluzione magica, ma su un approccio combinato che unisce tecnologie consolidate già in atto, innovazioni di frontiera per il futuro e, soprattutto, un cambiamento culturale nel modo di progettare e utilizzare il calcestruzzo.
Per scalare questa montagna, il primo campo base è già stato allestito. Si fonda su soluzioni concrete e collaudate, note come “leve tradizionali”, che stanno già tracciando il sentiero.
Come si sta già rendendo il cemento più verde
La strategia principale in atto oggi, che definisce il percorso fino al 2030, si basa su due leve tradizionali in grado di ridurre circa il 40% delle emissioni. Sebbene non siano risolutive, rappresentano la base fondamentale del percorso di decarbonizzazione.
La prima leva agisce sulla quota di emissioni da combustione. Consiste nel sostituire progressivamente i combustibili tradizionali, come il Petcoke e il carbone, con combustibili alternativi, in particolare quelli a base di biomassa.
Questo approccio permette di ridurre l’impatto climatico legato all’energia necessaria per il processo produttivo.
Il clinker, componente principale del cemento e fonte delle emissioni di processo “incomprimibili”. La seconda leva consiste quindi nel ridurne la quantità, sostituendolo con altri materiali chiamati “costituenti secondari”.
Questa pratica non solo riduce le emissioni dirette, ma rappresenta anche un eccellente modello di economia circolare, riutilizzando risorse che altrimenti verrebbero scartate. I principali sostituti includono:
- materiali naturali, come la pozzolana o il calcare;
- materiali di riciclo da altre industrie, come la Loppa d’alto forno, uno scarto della produzione dell’acciaio;
- ceneri volanti, un residuo della combustione nelle centrali termoelettriche.
Queste leve sono fondamentali e già efficaci, ma da sole non bastano per raggiungere l’obiettivo di “net zero”. Non possono, infatti, eliminare le emissioni chimiche intrinseche del processo.
Per azzerare l’impronta di carbonio e completare la scalata, è necessario guardare oltre l’orizzonte attuale. La fase successiva, quella che porterà dal 2030 al 2050, richiederà tecnologie rivoluzionarie capaci di affrontare le emissioni residue, quelle considerate oggi “incomprimibili”.
Tecnologie di frontiera: la corsa verso le emissioni zero
Per abbattere le emissioni rimanenti, l’industria sta investendo in un portafoglio di tecnologie rivoluzionarie note come CCUS (Carbon Capture, Utilization, and Storage), ovvero cattura, utilizzo e stoccaggio della CO₂. Una volta catturata l’anidride carbonica, la prima domanda da porsi è: “cosa farsene?”. Le strategie principali sono due:
- stoccaggio (CCS): imprigionare la CO₂ in modo permanente in siti geologici sicuri, isolandola dall’atmosfera. Utilizzare i depositi di gas esauriti (depleti) che si trovano nel Mar Adriatico;
- utilizzo (CCU): trasformare la CO₂ in una nuova materia prima per creare altri prodotti di valore; creare combustibili verdi o prodotti per l’industria chimica, anche se oggi questo processo richiede un’enorme quantità di energia.
Aziende come Buzzi stanno già sperimentando attivamente diverse tecnologie di cattura su scala pilota, come quelle basate su sorbenti solidi (Mof) o la tecnologia Oxyfuel, per essere pronte a implementare queste soluzioni quando saranno mature e sostenibili a livello industriale.
Ma la vera rivoluzione non risiede solo nella tecnologia del materiale, bensì in un cambiamento più profondo: il modo in cui il calcestruzzo viene richiesto, progettato e valutato.
Un cambio di prospettiva: dalla ricetta alla prestazione
Il dibattito ha fortemente sottolineato che la sostenibilità richiede un’evoluzione da un approccio prescrittivo a uno prestazionale. La differenza è cruciale: non si tratta più di seguire una ricetta fissa, ma di definire l’obiettivo da raggiungere.
Da qui deriva un’idea fondamentale: la sostenibilità non risiede solo nel singolo materiale, ma nell’opera nel suo complesso.
In quest’ottica, la prima e più importante forma di sostenibilità è la durabilità: un’opera che dura più a lungo è intrinsecamente più sostenibile. Le leve tecnologiche e il cambio di approccio sono pilastri fondamentali, ma la trasformazione non sarà completa senza l’elemento più cruciale di tutti: le persone e le loro competenze.
In conclusione: non solo tecnologia, ma cultura e competenze
La decarbonizzazione del calcestruzzo è un percorso complesso che si basa su un mix di leve tradizionali, tecnologie future di cattura del carbonio e un approccio progettuale basato sulle prestazioni.
Tuttavia, la sfida più grande oggi non è solo tecnologica, ma anche culturale. Esiste un profondo gap di conoscenza tra le reali potenzialità del materiale e la sua percezione sul mercato. La tecnologia del calcestruzzo è già molto più avanzata di quanto venga comunemente richiesto, ma l’industria è frenata da una mentalità che troppo spesso lo considera un prodotto povero e privo d’innovazione, fallendo nel domandare le soluzioni ad alte prestazioni già disponibili.
La vera chiave del cambiamento potrebbe essere così riassunta: “il futuro non sarà tanto nel cambiare il materiale quanto nel cambiare l’approccio al materiale“.
Questo significa che il progresso richiederà un dialogo costante tra produttori, tecnologi e progettisti, unito a un forte investimento in formazione e competenze lungo tutta la filiera. Solo così il calcestruzzo potrà continuare a essere il materiale del futuro, costruendo un mondo non solo solido, ma anche sostenibile.
Ma anche collaborazione interdisciplinare
Nonostante l’esistenza di tecnologie avanzate, infatti, i relatori hanno lamentato che il mercato e i capitolati d’appalto si accontentano spesso di materiali minimi, frenando l’adozione di calcestruzzi innovativi e a basse emissioni.
La discussione ha ribadito l’importanza cruciale della collaborazione interdisciplinare tra produttori, progettisti e committenti, insieme a massicci investimenti nella formazione del personale, per garantire un futuro sostenibile per il settore delle costruzioni. (di Livia Randaccio)