Le pavimentazioni sono uno degli elementi costruttivi più comuni: ognuno di noi quotidianamente si muove su superfici pavimentate, sia a piedi che su automezzi, per lo svolgimento di qualsivoglia attività.
Nello specifico, le pavimentazioni stradali sono quelle che hanno principalmente la funzione di permettere il transito di automezzi, macchinari ma anche persone, da un luogo all’altro.
Ne va da sé che la loro prima, intuitiva e imprescindibile proprietà, è la resistenza meccanica all’usura e agli urti a cui si affianca la capacità di ben sopportare le condizioni atmosferiche più estreme, nonché rilevanti oscillazioni di temperatura nell’arco di brevi spazi temporali.
Questo perché per le pavimentazioni stradali si parla quasi esclusivamente di sistemi costruttivi applicati all’esterno.
Continue e discontinue
Così facendo abbiamo introdotto due importanti aspetti, che ci portano subito a individuare una grande distinzione tipologica tra:
- Pavimentazioni continue: sono quelle costituite da un solo materiale superficiale e monolitico, in cui le uniche interruzioni sono rappresentate da giunti strutturali o di dilatazione. Ne fanno parte le pavimentazioni bituminose, cementizie o a base di resine polimeriche.
- Pavimentazioni discontinue: sono quelle costituite da uno o più materiali, aventi elementi di tipo modulare tra di loro accostati e posati principalmente a secco. Sono pavimentazioni in pietra o in masselli cementizi.
Le pavimentazioni stradali continue sono la tipologia più comune per la realizzazione di strade e viadotti, ma nel caso delle resine polimeriche possono essere utilizzate anche per scopi differenti (passaggi pedonali, uso sportivo).
La metodologia costruttiva che ne sottende la realizzazione è più o meno la medesima in ognuno di questi casi: si parte con la realizzazione di un sottofondo o cassonetto stradale in materiale inerte a granulometria variabile, opportunamente costipato e rullato, per poi giungere alla predisposizione di un substrato più compatto che fungerà da supporto per la finitura superficiale.
La tipologia più comune è la pavimentazione bituminosa: quando pensiamo ad una strada, l’asfalto è il materiale che nel nostro immaginario associamo con più facilità. La stabilità e durata nel tempo di una pavimentazione bituminosa dipendono da alcuni aspetti esecutivi e da alcuni accorgimenti tecnici che possono fare realmente la differenza.
Sottofondo
La preparazione del cassonetto stradale, cioè di quello strato di sottofondo in materiale inerte posato e rullato su più strati, è operazione fondamentale per una tenuta nel tempo del supporto stradale.
È una regola che vale per qualsiasi tipo di pavimentazione, ma ancor più per quelle bituminose, spesso oggetto di transito continuativo di mezzi molto pesanti.
Con un buon sottofondo, lo strato di riempimento con materiale bituminoso a pezzatura grande (tout-venant o binder) può essere applicato senza preoccupazioni di sorta, così come il tappeto di usura finale che, grazie alla sua granulometria ridotta è la vera e propria finitura.
Lo spessore di quest’ultimo varia dai 30 ai 50 mm a seconda del livello di carrabilità della pavimentazione finita e particolarmente importanti sono sia l’attività di rullatura che la stesura di un buon promotore di adesione al substrato grezzo, essendo il tappetino applicato sempre a distanza di tempo rispetto al tout-venant/binder.
Superfici
Il tappeto di usura è quello più esposto al degrado e pertanto oggetto a periodico rifacimento. In una pavimentazione bituminosa di buona qualità, si può intervenire con una scarificatrice proprio per rimuovere la finitura, per poterla poi riapplicare senza intervenire sul sottofondo.
Un notevole incremento qualitativo in ambito esecutivo è stato introdotto dai dispositivi di controllo remoto tipici dell’industria 4.0, che permettono oggi di raggiungere un livello di precisione esecutiva elevatissimo su tracciati stradali di lunga gittata.
Basti pensare a macchinari come i grader/livellatrici stradali, spesso impiegati nell’esecuzione di viadotti ed autostrade, che grazie ai dispositivi gps ed alla gestione elettronica del mezzo riescono a raggiungere ormai un grado di precisione elevatissimo nelle operazioni di messa in piano della sede stradale.
Allo stesso modo, l’introduzione di asfalti aventi proprietà drenanti ha rappresentato un passo importante nell’ambito della sicurezza stradale. Tra le più recenti innovazioni tecnologiche, invece, annoveriamo l’asfalto stampato: una particolare metodologia esecutiva che consente di eseguire delle matrici in rilievo sulla superficie di finitura della pavimentazione bituminosa.
È particolarmente utilizzata in centri storici ed ambiti di pregio, proprio per l’effetto visivo e l’ampia libertà decorativa da cui è possibile attingere. Le pavimentazioni cementizie sono un’altra soluzione molto diffusa: rispetto a quelle bituminose hanno una maggior monoliticità, che si traduce in prestazioni più elevate in termini di resistenza meccanica, ma anche una maggior vulnerabilità a fronte dell’esposizione ad agenti atmosferici come pioggia, neve e gelo in maniera continuativa. In realtà più che un maggior deterioramento, esse presentano dei limiti in fase manutentiva.
Se nel caso delle pavimentazioni bituminose, come abbiamo visto, è sufficiente asportare lo strato superficiale per poi riapplicarlo ex-novo, nel caso del calcestruzzo l’ammaloramento progressivo è di più difficile sistemazione, se non tramite demolizioni localizzate e successivi ripristini.
Esistono prodotti colabili ad altissima resistenza meccanica che consentono il rifacimento del manto stradale superficiale anche nell’ambito delle pavimentazioni cementizie: i costi però sono importanti se rapportati all’elemento costruttivo in sé.
In linea generale, le pavimentazioni cementizie vengono preferite alle bituminose laddove è richiesta una carrabilità particolarmente pesante e duratura nel tempo, come per esempio in ambito industriale o logistico. Oltre determinati spessori (diciamo dai 15/20 cm in su) esse si configurano come veri e propri elementi strutturali, con precise classificazioni di portata.
Le pavimentazioni resinose sono una tecnologia relativamente recente, che però ha avuto un rapidissimo sviluppo, soprattutto grazie al campo di applicazione a cui esse sono destinate: impianti sportivi e parchi giochi.
Due settori verso i quali la sensibilità comune è notevolmente cresciuta e per i quali si sono così aperte ampie fette di mercato. Realizzate principalmente su sottofondo cementizio o comunque inerte, ma adeguatamente compattato, hanno come principale caratteristica prestazionale l’antitrauma, cioè la capacità di attutire gli urti in caso di caduta.
I conglomerati che le costituiscono hanno spesso come elemento base la gomma riciclata impastata con resine indurenti o altri materiali simili ed al variare dello spessore di materiale applicato si fa corrispondere una certificazione calcolata in funzione dell’altezza di caduta teorica che un adulto (o un bambino) potrebbe avere volgendo un’attività all’aperto.
Le pavimentazioni resinose, essendo applicate con getto di consistenza fluida con successivo indurimento, permettono un’ampia libertà stilistica sia nelle forme che nelle colorazioni possibili.
L’aggiunta di pigmenti, così come lo studio di casseforme rettilinee, spezzate o curve permette la creazione di percorsi dalle forme non regolari, particolarmente adatte a parchi, spazi gioco e impianti sportivi. Il mondo delle pavimentazioni stradali ci appare quindi come variegato, ma al contempo molto ben focalizzato sui requisiti base che il mercato richiede in base alla loro destinazione d’uso: resistenza meccanica e durabilità.
Un settore caratterizzato da grandi superfici d’intervento, dove la digitalizzazione dei processi sta ricoprendo un ruolo importante, per incrementare sia la produttività che la qualità del prodotto finale.
Nei centri storici
Le pavimentazioni stradali discontinue sono delle tipologie che trovano applicazione in un contesto differente, generalmente caratterizzato da un traffico veicolare poco intenso (abitazioni private) o di particolare pregio architettonico (centri storici).
Costituite da elementi modulari di dimensioni variabili e formati più o meno regolari, prediligono la modalità di posa a secco, che fornisce una maggior garanzia di tenuta nel tempo alle importanti sollecitazioni generate dal traffico veicolare, nei confronti del quale la non monoliticità costruttiva non rappresenta di certo un vantaggio.
Pietra naturale
L’esempio più nobile di questa tipologia sono sicuramente le pavimentazioni in pietra naturale tipiche dei centri storici cittadini.
Dai lastricati in pietra naturale a strade e piazzali in cubetti di porfido: tutti esempi di come in questi casi sia la manodopera specializzata a rappresentare un’importante incidenza di costo e di buon livello qualitativo dell’opera, a differenza delle pavimentazioni continue, laddove le grandi quantità da eseguire necessitano di un apporto tecnologico e meccanizzato notevole.
Autobloccanti
In ambito industriale o commerciale troviamo le pavimentazioni a masselli autobloccanti, costituite da blocchetti cementizi di forma variabile che vengono posati tra di loro a incastro o accostati su un sottofondo di materiale inerte e pietrisco opportunamente compattato.
Qui le opere di preparazione così come la posa in opera sono ormai quasi esclusivamente meccanizzate, con il ricorso alla manualità ridotto solo a punti particolari.
Un’interessante innovazione è stata in questi anni sicuramente l’introduzione dei masselli di tipo drenante: la capacità di filtrare l’acqua piovana, benché ad oggi non ancora certificata da una specifica normativa nazionale, ha permesso l’estensione degli autobloccanti verso un mercato ancor più ampio che precedentemente era precluso, cioè il poter fornire carrabilità pesante ad aree formalmente assimilabili alle non pavimentate.
di Matteo Cazzaniga