Cambiamento climatico: come ripensare la progettazione alla luce di bombe d’acqua e siccità

Negli ultimi anni le espressioni per raccontare gli eventi atmosferici estremi, che con sempre maggior frequenza colpiscono il nostro Paese, hanno assunto terminologie che sono ormai entrate nel linguaggio comune, al punto tale che fanno sembrare quasi normali, appunto perché assunti nella quotidianità, fenomeni straordinari o comunque fuori dall’ordine normale delle cose. Si pensi al termine bombe d’acqua, che ha sostituito nell’immaginario collettivo la voce nubifragio. Il climatologo Giampiero Maracchi, intervistato al proposito 12 anni fa (il 2 novembre 2010), sottolineava che «prima capitava ogni dieci anni, adesso ne abbiamo anche quattro all’anno».

Bomba d’acqua è, come al solito, una traduzione giornalistica tutta italiana del termine anglosassone cloudburst (letteralmente esplosione di nuvola), che correttamente Google translate traduce in italiano con nubifragio, termine che tuttavia al sensazionalismo giornalistico serve ben poco, perché non colpisce l’immaginario collettivo come fa invece il termine bomba. Ma quanti altri termini dovremo coniare in futuro se la lotta e il contrasto ai cambiamenti climatici non dovesse assumere una piega positiva?

Soprattutto, mentre per gli eventi legati alle precipitazioni eccezionali abbiamo a disposizione volendo un ricco armamentario di termini, per i fenomeni contrari siamo in carenza di risorse giornalistiche e letterarie. In primo luogo perché una pioggia eccezionale è un fenomeno che dura per un limitato periodo di tempo, in secondo luogo perché siamo molto meno inclini a pensare che i grandi cambiamenti climatici possano portare in tempi brevi a scenari di forte cambiamento dal punto di vista del clima stagionale, ovvero attraverso lunghi periodi di siccità. Eppure è proprio quello che succede.

La fotografia relativa al cambiamento climatico e agli scenari che abbiamo di fronte è quella elaborata dalla Fondazione Cmcc, il Centro Euro-mediterraneo sui Cambiamenti Climatici, una struttura di ricerca scientifica che opera nel campo della scienza del clima e che realizza simulazioni in particolare per l’area mediterranea. Il Cmcc ha elaborato una serie di mappe interattive per rispondere a domande molto pratiche: di quanto aumenterà la temperatura da qui al 2050, al 2070 e al 2100? Come cambieranno le piogge? Quale sarà l’impatto di desertificazione verso il quale ci stiamo muovendo? Le risposte a queste domande sono in una serie di immagini, liberamente interrogabili da chiunque sul sito della Fondazione Cmcc, che mostrano l’evoluzione di dieci indicatori climatici sulla base di due scenari per tre periodi di tempo (2050, 2070, 2100), con mappe e numeri derivanti dalla ricerca sul clima atteso per il futuro dell’Italia fino alla fine del secolo. E i dati sono effettivamente preoccupanti. Lo scenario denominato RCP8.5 è basato sull’ipotesi che non siano adottati provvedimenti per salvaguardare il clima.

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Nonostante i progressi tecnologici, le emissioni che si ripercuotono sul clima continueranno ad aumentare, e con esse il  riscaldamento globale, che comporta un incremento della desertificazione, una maggior presenza di periodi prolungati di caldo rispetto a oggi e, dall’altro lato, un incremento significativo per alcune regioni italiane delle precipitazioni piovose di carattere consistente.

Come noto, una politica di coerente protezione del clima dovrebbe prendere seri provvedimenti per ridurre praticamente a zero le emissioni di gas a effetto serra nell’atmosfera entro il 2050.  Ma gli sforzi che stiamo facendo sono pochi e peraltro neppure bene accetti dalla politica. Basti vedere la levata di scudi a livello politico nazionale rispetto alle nuove direttive europee che, se approvate, obbligheranno a intervenire su tutto il patrimonio edificato per portarlo almeno in classe E, dunque con orizzonti di rigenerazione energetica del costruito che dovrebbe coinvolgere almeno 10 milioni di abitazioni in Italia, praticamente la metà di quelle oggi abitate.

Siamo di fronte a un bivio ineludibile: da un lato la salvezza non solo del pianeta e con esso di tutto ciò che ci riguarda, socialità ed economia comprese, da un altro il proseguire in una poco scientifica azione di consumo ulteriore di risorse, alcune delle quali ormai di natura scarsa. L’aria e l’acqua, prime fra tutte. Senza azioni concrete e consistenti non riusciremo infatti a raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima del 2015 (Cop21) e a contenere il riscaldamento globale a 2 gradi rispetto ai livelli preindustriali.

La lotta al cambiamento climatico, che in Italia spesso è tradotta e spiegata in modo erroneo attraverso il termine resilienza, è una vera sfida che impone la drastica scelta di intervenire in ogni singolo ambito di azione con interventi che comportino miglioramenti e azioni in grado di contrastare il cambiamento climatico e ridurre l’effetto serra. Le abitazioni sono il principale sistema di produzione di Co2, ma se mettiamo in fila anche gli altri ambiti nei quali l’edilizia è coinvolta su questo fronte, si supera di gran lunga il 50% delle emissioni. Inoltre, il settore delle costruzioni, fin dalle fasi di progettazione degli edifici, possono dare un contributo determinante nella risoluzione di molti problemi derivanti dal cambiamento climatico, primo fra tutti il tema della siccità e delle azioni per ridurne l’impatto.

È assolutamente di tutta evidenza, e ben documentato a livello scientifico dall’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) e da numerosi studi a livello internazionale e anche nazionale, che stiamo ormai da decenni procedendo a una progressiva desertificazione del territorio, un fenomeno che non coinvolge solo l’Africa e le regioni equatoriali, con la loro progressiva perdita di capacità produttiva agricola e dunque esigenze di migrazione delle popolazioni, ma i cui esiti arrivano fino in Europa e del quali l’Italia è particolarmente investita, come testimoniano nei fatti le lunghe siccità degli ultimi anni. Una, per esempio, la stiamo vivendo in questi mesi di scarsa piovosità e nevosità, e un’altra legata al 2022, uno degli anni più caldi e meno piovosi degli ultimi decenni.

L’incremento della siccità necessita di capacità di intervento che riguardano lo studio del ciclo dell’acqua a tutti i livelli. Il settore delle costruzioni, e la progettazione in particolare, è un attore importante in questo ambito perché è attraverso il riutilizzo delle acque che si può incrementare la capacità di un territorio o di una città a mantenere riserve di acqua sufficienti a garantire la sostenibilità delle attività, non solo agricole, ma anche quelle legate agli usi pubblici e civici, nei periodi di carenza.

Un esempio è il riutilizzo delle acque di drenaggio, sia in agricoltura sia in ambito civile. Drenaggio, come noto, è un termine tecnico che deriva dall’inglese to drain, che significa prosciugare. In sostanza il drenaggio è quell’insieme di azioni, naturali o artificiali, che permettono a un terreno di smaltire l’acqua in eccesso immagazzinandola a livello profondo, nelle falde, oppure in depositi. Se da un lato il drenaggio ha lo scopo di eliminare le acque d’infiltrazione presenti nei terreni, da un altro lato è anche un sistema utile non solo a smaltire quelle in eccesso, ma anche ad accumularle e recuperarle per usi nei momenti di sua scarsità.

Negli insediamenti urbani ciò è particolarmente importante, soprattutto nell’ambito del recupero delle acque meteoriche o bianche. In sostanza si può, attraverso la tecnica e la tecnologia, agire sul ciclo dell’acqua, riducendo gli effetti negativi delle eccessive impermeabilizzazioni dei terreni e della riduzione della presenza di acqua a causa di minori eventi piovosi. In questo ambito, per esempio, nelle città è di fondamentale importanza superare la tradizionale canalizzazione dei deflussi meteorici e privilegiare la ri-permeabilizzazione del suolo, mediante l’infiltrazione delle acque meteoriche o il loro recupero per l’utilizzazione civile.

Da un altro lato le forti precipitazioni, sempre più frequenti a causa del cambiamento climatico, provocano picchi di portata idrica non gestibili dalle reti fognarie e dai corsi d’acqua superficiali, con conseguenti allagamenti e inondazioni di zone abitate e agricole, con danni a vari livelli, da quelli legati alle esondazioni in città a quelli legati alla perdita della produzione agricola. In questo ambito le tecniche di drenaggio devono associarsi alla realizzazione di bacini di accumulo e vasche di laminazione in grado di assorbire, contenere e mantenere riserve idriche, rilasciandole lentamente e quando necessario.

acqua

Il perché di tutta questa attenzione al ciclo dell’acqua è di fondamentale importanza non solo per contrastare il cambiamento climatico, ma anche perché negli ultimi cento anni l’utilizzo di acqua è aumentato di sei volte. Molto dipende dal nostro stile di vita, che ovviamente possiamo modificare non tanto riducendo le necessità idriche (anche se si potrebbe fare molto in questo ambito, ovviamente modificando il nostro comportamento e i cicli a esso associati, come quello del consumo e della produzione di beni alimentari, arduo da realizzare nel breve periodo), quanto riutilizzando al meglio le risorse in un’ottica di sostenibilità e di circolarità.

I cambiamenti climatici influiranno sempre più sulla disponibilità di acqua e dunque è importante porla al centro delle azioni di gestione sostenibile, che nell’edilizia e nelle costruzioni significa introdurre pratiche ad azioni specifiche fin dalle fasi progettuali, a quelle di intervento sul patrimonio costruito, ma senza dimenticare la gestione dei cantieri e la riduzione delle emissioni anche in questo ambito. Per esempio, per contrastare la siccità, oggi vi sono tecniche di prelievo dell’umidità atmosferica, come il cloud seeding, la cosiddetta inseminazione delle nuvole, o la raccolta d’acqua dalla nebbia, tecniche che rappresentano soluzioni a basso costo per aree ad esempio nelle quali vi sia presenza rilevante di nuvole o di nebbia.

Ma il vero punto chiave, come indicato da Un-Water, la struttura delle Nazioni Unite che studia e analizza il ciclo dell’acqua per aiutare i vari Paesi a scegliere politiche e azioni in grado di contrastarne il depauperamento è agire in modo unitario a livello mondiale rispetto alle sfide legate all’acqua. Ogni anno, in occasione della Giornata mondiale dell’acqua, l’Un-Water rilascia un proprio report, che fornisce indicazioni su come affrontare le sfide dei cambiamenti climatici gestendo al meglio le risorse idriche.

Secondo lo studio, circa i due terzi delle emissioni di gas a effetto serra di origine antropica provengono dall’utilizzo e dalla produzione di energia, per cui è evidente che questa è al centro delle iniziative sui cambiamenti climatici. Per mitigare le emissioni, si legge nel report, occorre focalizzare l’attenzione sulla riduzione della domanda di energia e sull’incremento dell’efficienza energetica. Ecco che per intervenire efficacemente nel ciclo dell’acqua, tutte le azioni che vedono interventi di riduzione dei consumi di energia e l’incremento della produzione energetica da fonti sostenibili, sono azioni che vanno nella giusta direzione e la cosa importante da sottolineare è che non vi sono altre direzioni possibili.

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Per il mondo delle costruzioni significa rivedere i propri processi produttivi, a partire dalle fasi di progettazione delle opere, siano esse abitazioni, edifici o strutture più complesse. È in tutto il ciclo di vita del prodotto progettuale che vanno trovati gli equilibri e i risparmi energetici e dell’uso delle risorse come l’acqua, al fine di ridurre complessivamente le emissioni, ridurre gli impatti e garantire una sostenibilità vera ed effettiva alle azioni, siano esse di nuova costruzione che di rigenerazione del patrimonio costruito.

Ed è dalla progettazione e poi dalla gestione degli interventi che si generano i benefici, che potremo vedere in futuro, e dunque i progettisti oggi hanno forse una responsabilità ancora maggiore rispetto a un tempo, perché oggi possono essere in fin dei conti i veri progettisti della sostenibilità.

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