Professione architetto: come migliorare il processo di business

Una profonda, accurata, meticolosa analisi della propria attività è la base per migliorare il processo di business di un singolo architetto o di uno studio. Per riuscirci è necessario codificare le procedure, nei tempi e nei modi che si ritengono corretti (ordine non casuale). È importante perché solo così si sa esattamente quando si procede nella direzione corretta e quando no, e apportare gli eventuali correttivi. Se non so dove mi trovo, qualsiasi direzione io prenda può essere giusta o sbagliata. E affidare il proprio successo professionale e imprenditoriale a una monetina è un azzardo che non auguro a nessuno. Ecco i punti essenziali da seguire per identificare correttamente e in modo preciso le fasi che si eseguono per ottenere i risultati desiderati.

Professione architetto

Esplicitare le modalità del lavoro

Le procedure servono a rendere chiare ed esplicite le modalità del nostro lavoro, sia all’interno della struttura che all’esterno. Se, per esempio, pensiamo ai contratti con clienti o fornitori e tralasciamo il merito legale, possiamo tranquillamente identificarli come procedure. Generalmente hanno una premessa che ne definisce l’ambito, e che costituisce la causa dell’effetto successivo (l’attività oggetto del contratto). L’attività è a sua volta causa di modalità e tempi (effetto dell’attività), che a loro volta generano il valore, ciò che, anche se in modo improprio, definiamo risultato atteso.

Organizzare il lavoro

É davvero necessario, per iniziare a organizzare il proprio lavoro, fare la fatica di analizzarlo nei termini detti. Se è vero che ogni area ha genericamente come obiettivo il corretto funzionamento dell’attività, è altresì vero che gli obiettivi specifici di ogni funzione sono diversi tra loro, in alcuni casi possono essere addirittura conflittuali, se non sono realmente collegati tra loro in un rapporto  di causa/effetto chiaro e condiviso. L’evidenza delle procedure permette di pianificare (che cosa devo e voglio fare), programmare (quando devo e posso fare), controllare (verificare il che cosa e il quando), correggere (il che cosa e/o il quando), replicare (stessa cosa e stessi tempi).

Scrivere le procedure

Le procedure vanno scritte, perché devono essere a disposizione di chiunque possa o debba entrare nel merito di quella fase di lavoro. Sono il «libretto di istruzioni» dell’attività, lo strumento con cui delegare e controllare noi stessi e gli altri, avendo chiaro quando si prendono scorciatoie (perché succede spesso che si scelgano sperando che vada tutto bene, magari perché occasionalmente è andata bene).

Personalmente mi scontro, dialetticamente s’intende, sempre con professionisti o imprenditori che di fronte a questo lavoro di analisi e descrizione hanno la dichiarata percezione che sia una perdita di tempo, e che non serva concretamente a nulla perché «il mio settore è diverso dagli altri» (la frase preferita). Immaginiamo di andare dal medico per un malessere (che può essere un semplice fastidio, ma anche un sintomo di qualcosa di significativo), e di fronte alla disposizione di accertamenti che il medico inevitabilmente prescrive, gli rispondessimo «ma io sono diverso dagli altri, quindi è inutile perdere tempo a fare analisi. Datemi la terapia». L’esempio fa sorridere, per quanto sia evidentemente paradossale, ma nelle attività professionali e lavorative accade molto di frequente. Quindi, ricapitolando: analisi del processo ed elaborazione delle procedure.

Come si individuano le procedure?

Sinteticamente, per ogni area di attività, bisogna identificare l’ambito specifico. Per esempio, nell’area commerciale, c’è un ambito legato alle generali attività di promozione e marketing dell’azienda o dei prodotti/ servizi, un altro legato alla vendita propriamente detta, anche in funzione del target a cui ci si rivolge. Ogni ambito ha uno o più obiettivi specifici, una modalità di realizzazione e attuazione, uno o più risultati attesi. La procedura non è altro che la descrizione reale di questi elementi: reale, perché è quello che effettivamente facciamo e non quello che magari vorremmo che si facesse (che appartiene alla sfera dei miglioramenti, ma non della realtà).

Le procedure possono essere modificate? Sì. Esattamente come si modificano le prassi nella realtà, in virtù di modi migliori individuati per eseguire le attività o perché cambiano le condizioni. Una notazione importante: come detto, le procedure descrivono la realtà, non la modificano. Si scrive quello che si fa, perché quello che si fa è il modo fino a questo momento migliore per ottenere i risultati che vogliamo. L’esperienza insegna anche che, quando si fa lo sforzo di descrivere e analizzare, un primo risultato immediato è anche una corretta riflessione sulla reale efficacia di ciò che facciamo, e quanto sia effettivamente funzionale all’attività e quanto invece sia abitudine. E le abitudini, notoriamente, non sempre sono buone.

(Stefano Pozzo)

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